Welfare
Il Welfare che verrà
Oggi in Cdm il decreto sui costi standard. Parla Luca Antonini
Stamane il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo del federalismo fiscale, che detta le specifiche disposizioni sulle entrate delle regioni a statuto ordinario e delle province (rideterminando la quota delle tasse di pertinenza degli enti locali). Lo schema di decrto (che dovrà essere ora esaminato dalla Conferenza unificata e dalle commissioni parlamentari, per poi tornare in Cdm) puntualizza anche i costi e i fabbisogni standard nel settore sanitario. Un punto quest’ultimo su cui negli ultimi giorni si è molto discusso: saranno definiti facendo riferimento a quante (e soprattutto a quali) regioni “virtuose”?
Piè di lista, addio
Il fabbisogno standard sostituisce il tradizionale (e fallimentare) metodo del rimborso a piè di lista, basato sulla spesa storica (quanto una regione ha speso negli anni precedenti, altrettanto riceve) e introduce un criterio essenzialmente basato sulla comparazione: se una regione spende 100 , allora vuol dire che è possibile non spendere 150… Un ragionamento molto concreto (sarà fondato probabilmente non solo sul bilancio, ma anche su altri parametri, come la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni), che potrebbe contribuire a ridurre il fabbisogno complessivo (come noto, la spesa per la sanità impegna circa il 90% dei budget regionali) e a migliorare le soddisfazione dei cittadini.
Basta sprechi
In ogni caso, si tratta di una svolta particolarmente significativa. Come sottolinea Luca Antonini (in foto) presidente della Commissione tecnica paritetica e consigliere dell’Agenzia per le onlus. «Non ci sarà più l’alibi generico dei costi della sanità. A quegli amministratori che faranno spendere più del dovuto si potrà dire: “è il tuo spreco”». In altri termini, i responsabili degli enti locali saranno diversamente e nuovamente responsabilizzati, mentre i cittadini potranno valutare con maggior precisione la loro capacità amministrativa («Federalismo fiscale vuol dire invece introdurre una tracciabilità dei tributi: il cittadino vede la spesa e l’imposizione. Il meccanismo sarà: vedo, pago, voto», sottolinea Antonini). Insomma, «ragionare per costi standard», prosegue il presidente della Commissione, «mette in evidenza che non si può continuare a tenere l’ospedale al centro del sistema sanitario. Non è più possibile mantenere venti posti letto a caro prezzo, registrare magari una mortalità altissima, dare complessivamente meno risposte e in più pagare le migrazioni sanitarie».
Sarà un’Italia migliore?
Ne è convinto Umberto Bossi. Lo ha promesso uscendo dal Consiglio dei ministri e annunciando che «mancano ancora poche cose, il Parlamento potrà dare dei suggerimenti, poi presto arriverà il via libera definitivo». Ne è convinto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa («questa scelta di un federalismo solidale e moderato è stata la scelta vincente che ha consentito di riconoscersi in questa serie di provvedimenti ancora in itinere. Ha accontentato il nord, il centro e il sud»). Ma lasciando le valutazioni politiche ai politici, è assai probabile che la riforma avrà significativi effetti sul Welfare in particolare locale.
Le ricadute sul Welfare
Amministratori più responsabili, cittadini più in grado di valutare le loro decisioni: una premessa di trasparenza che in qualche modo potrebbe contribuire anche indirizzare le scelte organizzative. È improbabile infatti che il Welfare possa continuare a essere gestito con l’impostazione che ha generalmente avuto fin qui. «Il federalismo rende trasparenti la spesa e l’eventuale spreco. Questo può attivare un sistema virtuoso e avere ripercussioni importanti sui modelli sanitari. Che è poi il nostro problema attuale: abbiamo modelli che non funzionano, non garantiscono qualità e costano moltissimo», insiste Antonini. Un punto sul quale il ministro Sacconi da tempo insiste: occorre territorializzare i servizi socio-sanitari, abbandonare l’impostazione secondo la quale al centro della cura deve esserci l’ospedale. «È uno degli obiettivi fondamentali», conclude Antonini, «e questo vorrà dire che il non profit sarà chiamato a concorrere ancora di più al bene comune».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.