Economia

Quanta strada in 10 anni. (ma qualcuno non se n’è accorto)

La prima edizione fu nel 2000. Stefano Zamagni fa un bilancio

di Maurizio Regosa

«Quando abbiamo lanciato il tema dell’economia civile, sembrò un’idea avventurosa. Oggi a livello scientifico e di pensiero è diventata invece una nozione acquisita. Peccato che la politica, anche a livello locale, sia così sorda». Parla l’ideatore delle Giornate di Bertinoro
«Una scommessa che ha avuto un grande successo». Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per le onlus e del comitato scientifico di Aiccon, che organizza le Giornate di Bertinoro, rievoca così la nascita dell’appuntamento: «Nessuno poteva immaginare questo esito. Quando decidemmo di dedicarle alla “economia civile” fu davvero un mettere il cuore oltre l’ostacolo perché allora era quasi avventuroso parlare di “economia civile”».
Vita: Oggi è nel lessico comune…
Stefano Zamagni: Grazie anche all’impatto che le Giornate hanno avuto sulla ricerca scientifica. Nel 2004 è uscito un libro di Luigino Bruni e mio; nel 2009 il Dizionario di economia civile: quasi 900 pagine. Poi sono usciti tanti altri lavori.
Vita: E l’impatto sui politici?
Zamagni: C’è stato, ma devo ammettere minore di quanto mi sarei aspettato.
Vita: E qual è la ragione?
Zamagni: Nel nostro veramente particolare Paese, il policy maker per principio non ascolta i think tank come avviene altrove. Per diversi decenni gli intellettuali essendo organici, nel senso gramsciano, esprimevano il loro know how e le loro conoscenze direttamente nei partiti di cui erano parte. Poi i partiti sono entrati in crisi e hanno smobilitato i loro centri di ricerca. Oggi se anche arriva una proposta intelligente, se non è filtrata da un collegamento organico, non viene accolta. Noi di proposte ne abbiamo avanzate molte, a partire dalla riforma del Codice civile.
Vita: Che è stata ripresa dal governo…
Zamagni: Sì, ma non va avanti. Non è calendarizzata. Non dico che il lavoro svolto in questi dieci anni non abbia avuto effetto, ma che in un altro Paese avrebbe avuto un impatto di gran lunga superiore.
Vita: E i prossimi impegni?
Zamagni: Il principale è una ricerca per arrivare a valutare il valore aggiunto sociale dei soggetti di terzo settore. Ormai sono tutti d’accordo di modificare il Pil ma un capitolo importante per andare oltre il Pil è la misurazione del contributo che il terzo settore dà all’indicatore sintetico di benessere o di qualità della vita che dir si voglia.
Vita: Quando sarà pronta?
Zamagni: Ci vorranno almeno due anni. È un’indagine nazionale, per la quale Aiccon ha messo insieme i migliori cervelli nei diversi campi: economico, statistico, sociologico e giuridico. E mettere insieme i portatori di conoscenze di quattro ambiti è una impresa non semplice. Alla fine occorre trovare una sintesi.
Vita: Il federalismo spingerà i politici locali a interloquire con Aiccon?
Zamagni: Fino ad oggi nemmeno i policy makers locali hanno utilizzato il potenziale di Aiccon. Ma nel prossimo futuro le cose cambieranno. Stiamo andando verso un nuovo modello di welfare, la cui novità è l’articolare i servizi su due livelli. Il primo a carico totale dell’ente pubblico, e assicurerà a tutti i livelli essenziali di assistenza. Il secondo comprenderà i servizi che non sono coperti dal primo livello e saranno affidati o caricati sulle spalle del terzo settore. Questo secondo livello di welfare chiaramente modificherà il modus agendi della pubblica amministrazione, costringerà ad applicare il metodo della partnership sociale. Nella progettazione e nella produzione dei servizi l’ente pubblico e il soggetto di terzo settore dovranno condividere poteri e responsabilità. Lì mi aspetto un salto in avanti del terzo settore, che fino a oggi è stato utile ma ancillare. Quando questo cambiamento avverrà, ecco che il ruolo di soggetti come Aiccon e altri simili diventerà fondamentale.
Vita: Forse anche per comprendere come dovranno essere i servizi di secondo livello…
Zamagni: Infatti. Secondo alcuni devono essere di tipo particolaristico, cioè vi accederanno coloro che se li possono permettere, quei territori che hanno strutture di società civile, cooperative e imprese sociali in grado di farli. Chi le ha bene, chi non le ha si arrangi. Secondo me, sarebbe meglio un secondo livello universalistico come il primo. Anche se riconosco che è molto difficile. In alcune zone del Paese non c’è una strutturazione sociale adeguata.


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