Mondo

Corri, Africa. Sette storie di entusiasmo e di successo

Uomini e donne vincenti per il loro continente. Alek Wek, Zackie Achmat, Safia Abukar Hussein, Mustafa El Gendy, Arthur, Ayisi Makatiani, Tanya Accone

di Carlotta Jesi

Alek Wek La rifugiata in passerella Sfila da quando ha 18 anni, Alek Wek, sudanese, con gli occhi fieri dei Dinka puntati dritti su chi le sta davanti. L?hanno proclamata modella del decennio. Nel 1991, insieme alla sorella minore, Alek è fuggita dal suo villaggio di Bahr al Ghazal a Khartoum, e poi in Inghilterra, per scampare alla guerra civile, lasciandosi alle spalle la mamma e sette fratelli che l?hanno raggiunta due anni dopo a Londra. È qui, fra le bancarelle di un mercatino all?aperto, che un talent scout la scova a fare acquisti nel 1995. E che inizia la sua carriera: oggi Alek è l?ex rifugiata, oltre che la top model, più famosa del momento. A Gucci, Fendi, Jean Paul Gaultier, Versace e Armani piace per i tratti forti del viso e il fisico asciutto e scultoreo. All?Agenzia Onu per i rifugiati, che l?ha scelta come testimonial del suo cinquantesimo compleanno, per il sorriso, il coraggio e la simpatia. Nel 1998 la Wek è tornata in Sudan per vedere di persona gli effetti di una guerra civile che dura ininterrottamente da oltre 17 anni e della fame che affligge il suo popolo. E da allora, come membro dell?Us Committee for Refugees? Advisory Council, raccoglie fondi per i rifugiati. Info: www.refugees.org/news/crisis/sudan_m.htm Zackie Achmat L?eroe che non si cura Zackie Achmat ha 38 anni, il virus dell?Aids e abbastanza soldi per curarlo. Ma non ha intenzione di prendere i farmaci anti retrovirali finché tutti i 25 milioni di sieropositivi africani potranno farlo. Un matto? Dal 5 marzo scorso – quando alla testa della campagna per l?accesso ai farmaci nei Paesi poveri si è presentato davanti alla Corte Suprema di Pretoria per chiedere alle 39 multinazionali farmaceutiche in causa contro il governo del Sudafrica di abbassare i prezzi dei loro prodotti anti Aids costringendole a ritirarsi dal processo – il mondo lo chiama in un altro modo: eroe. Zackie, che di professione fa il regista, ha sempre avuto un modo molto teatrale, e molto efficace, di battersi per quello in cui crede. La sua carriera di attivista inizia a 14 anni, quando durante la rivolta di Soweto del 1976 cerca di dar fuoco alla sua scuola per sostenere il diritto all?educazione dei neri. Dopo l?Apartheid, è la volta dell?Aids. A ottobre dell?anno scorso vola in Tailandia, si riempie lo zaino di Biozole – un farmaco generico anti Hiv prodotto a basso costo -, lo porta a casa e lo distribuisce ai malati. Da tempo i volontari della Treatment Action Campaign cercano di convincerlo a prendere le medicine. Zackie stava per cedere, ma si è tirato indietro perché non accetta che nel suo Paese curarsi sia un lusso. Info: www.tac.org.za Safia Abukar Hussein La freccia di Mogadiscio Quando è stata scelta per partecipare alle Olimpiadi di Sidney, Safia Abukar Hussein, 19 anni, non sapeva nemmeno dove fosse l?Australia. Suo padre, invece, sui Giochi aveva le idee molto chiare: correre i 400, 800 e 1500 metri davanti alle telecamere di tutto il mondo in un succinto costume da velocista, per una ragazza di Mogadiscio vuol dire perdere ogni possibilità di trovare un buon marito musulmano. Alla fine però ha ceduto, per il bene della Somalia. Ma i problemi per Safia, una delle nuove stelle dell?atletica africana, non sono finiti: per entrare in Australia ci vuole un visto, e a lei mancavano sia il passaporto sia un governo che potesse rilasciarglielo. Che fare? A risolvere il problema ci hanno pensato i dirigenti del team somalo: sono andati al mercato Bhakara di Mogadiscio e fra le bancarelle le hanno recuperato un vecchio documento di identità. Dopo aver superato ostacoli così, l?emozione, l?impatto col mondo ricco e con le telecamere a Safia devono essere sembrate una passeggiata. La ragazza se li è mangiati in poche falcate. Mustafa El Gendy Turisti, datemi l?1 per cento Per capire fino in fondo cos?ha in mente Mustafa El Gendy, dovreste fare un safari in Africa. O, almeno, immaginarvi la colata di alberghi e lodge di lusso che oggi ricoprono completamente le lunghe spiagge del Senegal o del Kenya. Dentro a questi alberghi, l?unica cosa che può fare la popolazione locale è il cameriere, il cuoco o il facchino. Le vacanze, no di certo. E il motivo è semplice: questo tipo di turismo è un?aggressione. Un?ingiustizia di cui Mustafa, oggi 40enne, padre e marito, si accorge fin da ragazzo camminando verso il liceo francese del Cairo dove può studiare perché suo padre ha venduto delle terre per mandarlo a scuola. La sua idea per risolvere questo problema? Destinare l?1% del prezzo che i turisti pagano per le vacanze in Africa, oppure un dollaro per ogni notte d?albergo, in un fondo nazionale che lo investa in progetti di sviluppo urgenti. Per trasformare questo sogno in un progetto, che oggi si chiama Tourism for Development, qualche anno fa Mustafa si è trasferito a Parigi e ha bussato alle porte dei grandi tour operator. Risultato? «All?inizio un disastro», spiega, «non ne volevano sapere. Ma poi hanno capito che la miseria si combatte con la redistribuzione delle ricchezze più che con la carità, e hanno iniziato ad aprirmi le porte». Oggi il gruppo Accor – 3200 hotel in 140 Paesi del mondo – ha aderito al progetto. E Mustafa, detto ?il lupo? per i grandi occhi neri e il sorriso lucente, è in trattativa con i più grandi marchi del turismo mondiale. Arthur Il Manu Chao di Soweto Cinque anni fa le radio africane lo avevano censurato per la sua carica eversiva. Ma Arthur, ballerino e star del kwaito, un hip hop acido dalla forte denuncia sociale nato per le strade durante la rivolta del 1994 che ha sconfitto l?Apartheid, è riuscito comunque a vendere 150 mila copie del suo Cd. Eccessivo nel look e nel gergo, con la testa rasata e pantaloni attillati, spara a zero sui perbenisti di Johannesburg che tentano di soppiantare i ritmi tribali con la musica dance americana. è il simbolo dei giovani africani che vivono nei ghetti. Il kwaito, che forse prende il nome dallo slang kwai, caldo, o forse da una gang di Soweto, è infatti una musica energetica e facile da ballare che mischia ritmi house, blues, jazz e reggae su una forte matrice sudafricana. L?ideale insomma per chi, finita la lotta politica contro i bianchi, ora si trova a fronteggiare la disoccupazione, la povertà e l?Aids. Temi difficili che Arthur canta e balla intrecciando le undici lingue ufficiali del Paese con orgoglio anti globalizzazione e la speranza che il kwaito diventi qualcosa di più che la colonna sonora della lotta all?esclusione, e crei un giro d?affari discografico ed etichette indipendenti che diano lavoro ai giovani neri. Ayisi Makatiani Meglio il Kenya del Mit Lancia un business legato a Internet in Africa, e avrai fatto per questo continente molto più di quello che potrà mai dargli il Fondo Monetario Internazionale». Su questo principio Aysi Makatiani ha costruito Africa Online, un Internet Service Provider con sede a Nairobi (Kenya) che oggi ha 130mila utenti registrati (di cui 100mila navigano da postazioni pubbliche). Ayisi alle grandi imprese ci è abituato: nel 1994, quando fresco di laurea in ingegneria del Massachussets Institute of Technology lascia un lavoro come consulente informatico per fare il web imprenditore in Kenya, la gente lo prende per pazzo. Sei anni più tardi, su quel pazzo poggiano le speranze della nuova Africa. Quelle dei 100mila internauti che nelle piazze, farmacie, scuole e mercati di Kenya, Ghana, Uganda eZimbabwe fanno la fila davanti agli Internet point per entrare in rete. E quelle di chi, nei villaggi, per ora ha solo sentito parlare del web. Info: www.africaonline.com Tanya Accone La guerriera della Rete Oggi meno dell?1% dei 360 milioni di utenti di Internet vive in Africa. Ma Tanya, 29 anni, è uno di questi. E poco le importa che fuori da Johannesburg, dove lavora come executive producer del provider M-Web Africa, per arrivare a un telefono bisogna fare 100 chilometri e spesso la posta non ti arriva perché mancano perfino le caselle in cui depositarla. Anzi, questo deserto tecnologico in un certo senso la stimola. Sul suo portale, oltre a notizie politiche, Tanya inserisce servizi di moda, viaggi e intrattenimento. «La più grande risorsa globale che l?Africa ha a disposizione è il capitale umano e un modo di pensare completamente diverso da quello di chi oggi domina il mondo del lavoro. Abbiamo bisogno della Rete per farlo conoscere al mondo, e per stupirlo con la nostra creatività». Info: email taccone@mwebafrica.com


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