Saranno gli immigrati a salvare le nostre radici cristiane. Ascoltata qui, in Europa, l’affermazione può sembrare una battuta o una provocazione anti leghista. Ma nel Medio Oriente (dove storicamente affondano le radici del cristianesimo) l’affermazione non ha proprio nulla di stravagante. Ed anzi suona come maledettamente seria. Sono infatti gli immigrati filippini e indiani, in buona parte cattolici, che stanno ripopolando le chiese in non poche nazioni arabe. Il fenomeno è massiccio e sarà oggetto di riflessione al Sinodo speciale sul Medio Oriente che si apre domenica 10 ottobre in Vaticano. Impressionanti i dati forniti dalla rivista Mondo e missione. Nel Vicariato d’Arabia, che con i suoi tre milioni di chilometri quadrati è il più esteso al mondo (oltre agli Emirati Arabi comprende il Qatar, il Bahrein, l’Arabia Saudita, l’Oman e lo Yemen), i cristiani sono milioni: secondo le stime ufficiali rappresentano, nei diversi Paesi, tra il 7 e il 10% della popolazione. Negli ultimi tempi mi è capitato di viaggiare a Sana’a, nello Yemen, e a Nicosia, a Cipro. In entrambe le città ho partecipato a delle messe affollate di fedeli filippini e indiani. «Senza la loro presenza», mi raccontavano i parroci del posto «molte chiese avrebbero già chiuso i battenti».
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