Mondo
Talassemia boom: + 40% con gli immigrati
Tornano ad aumentare i malati di talassemia in Italia, cresce l'aspettativa di vita.
Un segno più positivo: cresce l’aspettativa di vita. Ma ce n’è un altro di segno, più quello del numero di persone affette da talassamia. In Italia, infatti, torna a crescere la presenza di persone affette dalla famigerata anemia mediterranea, una crescita che si registra soprattutto nelle regioni del Nord (Lombardia, Veneto, Piemonte e Liguria) e questo per la presenza di immigrati extracomunitari provenienti da aree del globo dove le talassemia sono endemiche. L’Italia della talassemia è stata fotografata da un censimento condotto tra il 2008 e il 2010 nei 134 Centri italiani di cura della talassemia. I dati sono quelli di una “malattia emergente”, spiegano gli specialisti che a Milano hanno presentato il VI Congresso della Società italiana talassemie ed emoglobinopatie (Site) intitolato non a caso: Nel mondo globale, la sfida italiana alla talassemia, ospitato fino a sabato 2 ottobre nella sede dell’università Statale e della Fondazione Policlinico del capoluogo lombardo.
I malati censiti in Italia sono 7.244 (4.248 affetti da Talassemia mayor; 1.605 da Talassemia intermedia e 1.391 da anemia falciforme) di questi il 4,6 per cento sono migranti, spiega il professor Paolo Cianciulli, direttore del centro di riferimento regionale per la Talassemia della Regione Lazio e coordinatore del censimento realizzato tra il 2008 e il 2010 dei centri italiani di cura di questa patologia considerata una malattia rara. Ancora negli anni cinquanta del secolo scorso la presenza di casi era concentrata in alcune regioni meridionali, nelle isole e nell’area del delta del Po, «le cose sono cambiate con la migrazione interna» ricorda ancora Cianciulli. E si sono ulteriormente modificate con l’immigrazione degli ultimi anni di persone provenienti da aree dove le talassemie, in particolare la falciforme è molto diffusa come il Nord Africa e l’Africa Sub-Sahariana. Anche per questo si registra un aumento di queste patologie.
Lucia De Franceschi, docente alla facoltà di Medina di Verona e medico all’azienda ospedaliera universitaria integrata della città scaligera, membro dell’Enarca, progetto europeo di rete di centri per anemie rare ha osservato che «l’analisi dei dati ricavati da indicatori sanitari nella popolazione pediatrica affetta da una di queste emoglobinopatie nella Regione Veneto ha evidenziato un significativo aumento (+ 40%) delle richieste di cure rispetto ai primi anni del 2000. Un trend sovrapponibile ad altre regioni del Nord, maggiormente interessate dai flussi migratori». De Franceschi ha inoltre sottolineato come si tratti di un problema sanitario a livello mondiale e che soprattutto alcuni difetti talassemici sono tipici dei Paesi da cui proviene l’immigrazione recente e invece «poco frequenti nella nostra popolazione». Diventa quindi importante «riconoscere queste forme per poi curarle adeguatamente. Le crisi di falcizzazione dei globuli rossi dovute alla variante “emoglobinica S” possono essere molto gravi e talvolta fatali se non riconosciute e trattate con tempestività». La dottoressa De Franceschi ha citato l’esempio di Francia e Gran Bretagna che hanno curato in questo particolare la formazione dei medici di emergenza. Un altro aspetto da non sottovalutare è che spesso il migrante non conosce l’esistenza di centri dedicati a queste patologie e si rivolge ai pronto soccorso quando sta male.
Accanto a questi dati sull’aumento di persone affette dalle diverse forme di talassemia, ci sono quelli positivi delle nuove terapie e soprattutto di una migliore qualità e di un allungamento della vita delle persone affette da Talassemia. Di questo aspetto ha parlato Maria Domenica Cappellini, docente di medicina interna all’Università degli studi di Milano, esperta di talassemia e anemie rare di cui si occupa dagli anni 70 al Policlinco di Milano. «Oggi abbiamo pazienti di 50 anni e delle donne talassemiche che sono madri, un fatto impensabile solo poche decine di anni fa quanto era difficile trovare soggetti malati con più di venti anni e questo avviene grazie ai miglioramenti delle terapie». Due i cardini sui quali si fonda la terapia convenzionale: le trasfusioni e la terapia ferro chelante necessaria per rimuovere l’accumulo di ferro conseguente alle trasfusioni. «Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto a disposizione nuovi due farmaci assumibili per bocca che hanno un impatto meno invasivo sulla vita dei pazienti», spiega Cappellini che non dimentica terapie come il trapianto di midollo, il primo fu praticato nel 1982, oggi notevolmente migliorato, come pure le terapie geniche «il 16 settembre su Science un gruppo francese ha pubblicato il primo caso di terapia genica in un paziente con sindrome talassemica. Abbiamo il primo caso,è un grande passo avanti però occorre prendere tempo perché va chiarito con molta franchezza e onestà nei confronti dei pazienti che, a oggi, ci sono le basi tecniche per affrontare questa terapia genica, ma restano ancora molte incognite nell’applicazione all’uomo che richiedono verifiche», ha concluso Cappellini.
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