Cultura

Cercare la felicità in un figlio disabile

di Redazione

Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell’istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, un mediorientale che accompagna il suo Yusuf. Tra i due padri nasce un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma risveglia in Diego desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego. Questa la trama di Il padre e lo straniero (Einaudi, pp. 142, euro 14) di Gianluca De Cataldo, un thriller che riflette sui temi della vita, del dolore, della disabilità ma anche sulle barriere e i pregiudizi culturali.

Vicino a casa mia ci sono scritte che dicono «Dio c’è». Pare siano opera di un pazzo.
Forse è Dio stesso, mormorò Diego. (…).
La notte che è nato Yusuf, ho sognato che venivano tanti amici con le corone e dicevano che sarebbe diventato il re del suo popolo. E la mattina dopo, quando i medici mi hanno avvertito che c’era qualche problema, io ho pianto. Tu sei stato più fortunato, amico, perché quel tuo pianto è venuto dal cuore. Il mio veniva dal cervello. Tu hai capito prima di sapere. Io ho avuto bisogno che me lo dicessero gli altri.
Penso che non è giusto, mormorò Diego.
Walid gli disse di aver letto in un libro che il problema dei bambini era l’inesistenza del mondo. Siamo noi che dobbiamo spingere il mondo verso di loro. Bisogna imparare a ragionare in un modo diverso. Altrimenti, il dolore uccide.

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