Politica

Si scrive Dilma, ma si legge Lula

L'ex guerrigliera che raccoglierà l'eredità del presidente è una sua creatura: così dalla politica estera alle posizioni anti abortiste la continuità è assicurata

di Paolo Manzo

Dilma Rousseff, classe 1947, candidata alla presidenza verde-oro dal Partido dos Trabalhadores, il PT di Lula. Segnatevi il nome perché sarà lei il primo presidente donna del Brasile. Tutto sta a vedere se riuscirà a vincere già al primo turno, domenica 3 ottobre, o al ballottaggio, a fine mese.
Economista, ferrea amministratrice, ex ministra della Casa Civil e ancor prima dell’Energia, grazie al traino di Lula oggi è nota ovunque in Brasile. Di origini bulgare da parte di padre, la Rousseff è celebre per il suo passato da “guerrigliera” – così la definiscono gli anti Dilma – o da “attivista per la democrazia”, come si considera lei. Era la fine degli anni 60 e il Paese viveva gli anni bui della dittatura militare. All’epoca studentessa universitaria, proveniente da una famiglia della classe borghese che l’aveva mandata a studiare in collegio dalle suore, Dilma scelse la lotta. Prima politica e poi armata, contro la dittatura, entrando a far parte di organizzazioni come il Colina – Comando de Libertação Nacionale la Var-P – Vanguarda Armada Revolucionária Palmares. Imprigionata, tra il 1970 e il 1972 ha subito torture atroci. Un’esperienza di cui parla spesso nelle interviste e che ha sempre considerato decisiva per l’evoluzione della sua persona e della sua carriera politica.
Finita la dittatura ha fondato il Partido Democrático Trabalhista, il Pdt. Nonostante questa sua origine partitica “differente” – non essere tra i fondatori del Pt ha fatto storcere il naso a più di un esponente del partito, a cominciare da quel Tarso Genro che da ministro della Giustizia concesse lo status di rifugiato politico all’ex terrorista italiano Cesare Battisti e che aveva più di una speranza presidenziale – Lula per supportarla nella campagna elettorale aveva dichiarato un paio di mesi fa che avrebbe fatto «il presidente in orario ufficio, dalle 9 alle 18». Promessa mantenuta e da allora Dilma ha cominciato a “volare” nei sondaggi.
In campagna elettorale Dima ha promesso di riprendere in tutto le politiche del suo predecessore: inclusione delle classi basse, politiche di sviluppo, continuità nella politica economica ed estera.
Tra i punti chiave del suo programma la conferma del cosiddetto «Bolsa Família», il progetto di sostegno economico non esente da critiche (vedi servizio sul n. 38 di Vita). Ma anche la continuazione del programma «Luz para todos» con cui Lula ha portato l’energia elettrica nelle zone remote del Nord-Est brasiliano.
Mentre un’opposizione sempre più “disperata” in campagna elettorale l’ha accusata di ogni nefandezza – dai legami con il terrorismo al narcotraffico – lei ha lanciato messaggi di tutt’altro genere, impregnati di continuità con gli otto anni di presidenza Lula nei confronti dell’industria, del capitale produttivo, degli investitori internazionali e della Chiesa cattolica.
Basti pensare all’aborto, che in Brasile è ancora considerato illegale. Sul tema il resto dell’America Latina sta cominciando a muoversi ma Dilma non ha preso posizione, proprio come Lula, dichiarando semplicemente che è «un problema di salute pubblica». Un modo come un altro per tranquillizzare la Chiesa sul fatto che non ci sono al vaglio nuove leggi volte a legalizzarlo.
O si pensi all’economia brasiliana che vola, assieme agli investimenti esteri diretti e alla Borsa, per nulla spaventata da una presidenza dell’ex “guerrigliera”.

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