Famiglia

Povertà, Lula ha vinto solo a metà

Oltre 12 milioni di famiglie hanno beneficiato del sussidio. Che ha migliorato le condizioni di vita. Ma che è stato recepito solo come misura assistenzialistica

di Paolo Manzo

da San Paolo
Il Brasile si prepara alle elezioni presidenziali del prossimo 3 ottobre. L’attesa è alta in tutto il Paese, soprattutto in quella classe medio-bassa che rappresenta il 90% degli elettori e che i sondaggi vedono allineata con Dilma Rousseff, la candidata del partito di Lula, il Partido dos Trabalhadores. E le politiche sociali portate avanti nei due mandati del “presidente dei poveri” sono certamente un asso nella manica della Rousseff. Ma non è tutto oro quel che luccica. A finire sotto la lente degli osservatori internazionali è soprattutto uno dei punti chiave del programma di governo del presidente-sindacalista: «Bolsa Família», alla lettera la Borsa Famiglia. Si tratta di un sussidio mensile che permette alle famiglie con un reddito al di sotto dei 90 reais mensili (circa 45 euro), di ottenere dallo Stato 90 reais mensili più altri 30 reais (15 euro) per ogni figlio con meno di 15 anni. Il tutto senza nessun bisogno di dimostrare che i ragazzi frequentano le scuole pubbliche e le strutture sanitarie, come era previsto inizialmente, nel 2003, quando il programma si chiamava «Fame Zero».
Il sussidio, istituito da Lula all’inizio del suo primo mandato per sconfiggere la povertà, è stato erogato ad oggi a 12,4 milioni di famiglie in tutto il Brasile, oltre 50 milioni di brasiliani.
Adesso, in piena campagna elettorale è diventato il punto forte dei programmi politici dei più importanti candidati, purtroppo una vera e propria macchina per ottenere voti, come ha dimostrato anche il grande sfidante di Dilma, José Serra, origini calabresi e leader del Psdb, il Partito della socialdemocrazia brasiliana, che ha dichiarato di volerla estendere ad altri 15 milioni di famiglie. Se inizialmente, dunque, l’obiettivo di «Fame Zero» era quello di vincolare l’istruzione dei figli e la partecipazione a corsi di formazione lavorativa per i disoccupati di basso reddito al sussidio – una sorta di «canna da pesca per insegnare ai più poveri a pescare» sosteneva il frate dominicano Frei Betto -, oggi invece «Bolsa Família» è una semplice “regalìa, un sussidio fine a se stesso”, insomma tornando alla metafora ittica, «un’elargizione gratuita di pesce, senza nessun obbligo da parte del ricevente», come ha scritto il settimanale britannico The Economist , che al programma ha dedicato un’inchiesta.
Sicuramente «Bolsa Família» ha avuto il merito di aver contribuito fortemente alla riduzione della povertà. Secondo la Fondazione Getulio Vargas (Fgv), tra le più accreditate del Paese, il numero dei brasiliani il cui salario mensile è inferiore ai 350 euro è diminuito ogni anno dell’8% dal 2003, lo stesso anno in cui è stata introdotta la «Borsa Famiglia». Il problema però è che il programma, invece di incentivare lo sviluppo, si è trasformato in una sorta di aiuto assistenzialista. In regioni povere e arretrate, come ad esempio il Nord-Est che ha dato i natali a Lula, per molti è meglio essere disoccupati e percepire il sussidio che lavorare perché tanto la cifra si equivale e con quanto ricevuto dallo Stato vivono, come spiegano gli analisti della Fgv. Si consideri poi che la penetrazione del programma è più alta nelle zone rurali (41%) e pressoché inesistente nelle grandi aree urbane come Rio de Janeiro e San Paolo (17%).
Il Paese rischia insomma di arginare la povertà nelle remote zone rurali ma di creare metropoli devastate dalla miseria e dagli slum, con tutti i problemi che il fenomeno comporta. Lo stesso Rômulo Paes de Sousa, sottosegretario del ministero dello Sviluppo sociale brasiliano, ha dovuto ammettere che in Brasile ci sono oggi «due povertà: una vecchia, quella delle aree rurali, e una nuova, quella delle metropoli».


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