Economia

Profumo, l’ora della resa

Prime pagine dei giornali dedicate alla guerra in Unicredit

di Franco Bomprezzi

Le notizie e le indiscrezioni si rincorrono, e ormai si dà per certa la resa di Alessandro Profumo, che oggi pomeriggio con ogni probabilità rassegnerà le dimissioni da amministratore delegato di Unicredit, il colosso bancario italiano da lui costruito con grande personalità negli ultimi anni. Mentre i siti online dei quotidiani aggiornano di ora in ora le notizie, i quotidiani in edicola dedicano apertura e pagine all’argomento e, al di là della cronaca, presentano molti spunti di riflessione e di commento. Ecco la nostra selezione.

“Scontro finale, Profumo verso l’uscita” è il titolo scelto dal CORRIERE DELLA SERA per aprire l’edizione di oggi con quattro pagine dedicate alla storia. Di particolare interesse l’analisi di Massimo Mucchetti che parte in prima e prosegue a pagina 40, fra le Opinioni. “Nell’arco del quindicennio – scrive il notista economico del Corriere – Profumo ha dato a Unicredit un posizionamento lontano dalla politica. E’ stato uno dei suoi molti meriti. Per esempio, non ha partecipato alle operazioni Telecom e Alitalia. Non è entrato nell’editoria. E ha dato un’apertura multinazionale rara in un sistema delle imprese spesso molto provinciale. Come tutti quanti esercitano la responsabilità, ha fatto convivere finanza e potere, puntellato anche soggetti in difficoltà assai diversi da lui, come, da ultimo, il gruppo Ligresti. E ha anche commesso errori: l’acquisto di Capitalia, per esempio, del quale si è pubblicamente e coraggiosamente pentito”. “Ma se chi oggi critica Profumo fa leva sui segni meno – inevitabili in tanto tempo – per dimenticare i grandi segni più, quella di oggi potrebbe essere una cattiva giornata. Se invece esercita i suoi poteri in trasparenza e sviluppa il buono che c’è, scegliendo rapidamente un successore all’altezza del predecessore, sarà un cambio della guardia sostenibile”. Per far comprendere bene le dimensioni della vicenda, e soprattutto le dimensioni di Unicredit, il Corriere pubblica a pagina 2 una infografica zeppa di numeri. Unicredit con 1338 miliardi di dollari è la prima banca italiana e l’ottava al mondo, appena sotto Société Générale e precedendo un colosso come Commerzbank, e comunque nettamente al di sopra dei 900 miliardi di dollari di Intesa Sanpaolo (decima in classifica). I retroscena e il pensiero di Alessandro Profumo vengono raccontati a pagina 5 da un lungo pezzo di Paola Pica: “Non nasconde, il gran capo di Unicredit, «la forte amarezza per essere trattato così, dopo quindici anni» di dedizione assoluta alla «sua» banca, il gruppo che lo ha visto salire quarantenne sulla plancia di comando e che ha finito per identificarsi col suo stesso amministratore delegato – scrive Paola Pica -. «Amarezza» ripete anche per il «rapporto personale con Dieter Rampl» andato deteriorandosi fino alla rottura. Il tandem professionale con l’attuale presidente di Unicredit ed ex amministratore delegato di Hvb, la banca tedesca acquisita da Piazza Cordusio nel 2005, ha potuto contare almeno nei primi anni su una «chimica» solitamente rara nel mondo degli affari. Un’intesa che ha permesso la trasformazione dell’ex bin nel primo gruppo paneuropeo. Non più tardi di sei mesi fa Rampl si era battuto al fianco di Profumo al quale gli azionisti volevano affiancare un direttore generale con poteri. Fondazioni e soci privati dovettero allora accontentarsi di un country chairman, la soluzione «light», ma a quanto pare non deposero le armi. Resta il fatto che oggi Rampl non perdona a Profumo la mancata informativa sugli acquisti libici, avvenuti per di più attraverso l’investment bank di Piazza Cordusio. Profumo si rammarica con i suoi dell’«incomprensione» delle Fondazioni che temono di venir scalzate dai fondi del governo di Muammar Gheddafi, ma riconosce di non essere riuscito a comunicare nei tempi e nei modi giusti le scelte fatte «solo nel nome della stabilità della banca».”. E Sergio Bocconi, a pagina 3, racconta “la difesa di Tremonti”, il ministro dell’Economia, infatti, negli ultimi tempi aveva stretto i rapporti con Unicredit anche per far partire la Banca del Mezzogiorno, una operazione di sistema che ora potrebbe ricevere un contraccolpo dalla situazione incerta al vertice della banca.

LA REPUBBLICA dà per scontato l’addio: “Guerra a Unicredit: «via Profumo»”. La notizia viene letta dal vicedirettore Massimo Giannini come il frutto di un pressing incrociato: delle fondazioni e della Lega. “Da Geronzi ai re delle Fondazioni i nemici dell’ultimo dei Mohicani” è il titolo del ritratto che Giannini dedica a Profumo, «l’ultimo dei banchieri che, nell’Italietta dei conflitti d’interesse e del capitalismo di relazione, ha almeno provato a gestire la sua azienda con logiche di mercato, compiendo svolte non ortodosse che l’hanno proiettato fuori dai confini asfittici dell’orticello domestico. L’ultimo manager che, nel Piccolo Paese dei “furbetti del quartierino” coperti dalla vigilanza e dei “Salotti Buoni” garantiti dalla politica, ha almeno cercato di difendere l’autonomia della sua banca facendo scelte che l’hanno messo ai margini di quel che resta del cosiddetto establishment». La Libia è «solo un alibi»: i presidenti delle fondazioni hanno deciso per ragioni diverse. Palenzona, per esempio: il numero uno della fondazione CariTorino, «pedina strategica della filiera Luigi Bisignani – Cesare Geronzi – Gianni Letta, che da mesi si muove per blindare il sistema dei poteri economici e finanziari intorno al presidente del Consiglio». Biasi, presidente di CariVerona, è invece «il nuovo pivot creditizio della Lega». Ognuno ha un suo movente, insomma. Un ministro non nominato dice senza mezzi termini: «è un’operazione squallida, sgangherata e mal congegnata, che è stata fatta senza neanche informare le istituzioni».

Uno scenario horror è quello che dipinge IL GIORNALE che scrive «L’uscita di Alessandro Profumo è un gigantesco salto nel buio. La prima banca italiana, la più internazionale, si potrebbe trovare senza guida operativa. Banca d’Italia è molto preoccupata per l’instabilità che si viene  così a creare. Altrettanto i palazzi che contano della politica italiana. La lettera di dimissioni è pronta. Vedremo se i consiglieri accetteranno le dimissioni». Nicola Porro continua: «l’ingombrante presenza libica è ovviamente una scusa. Unicredit  non solo è sul mercato e chi vuole compra, ma ha uno statuto che  limita il voto al 5 %. Profumo paga il suo rapporto  con le Fondazioni azioniste e con qualche socio privato. Negli ultimi  diciotto mesi il suo tocco d’oro è  scomparso, quattrini ne ha generati pochi e anzi ne ha richiesti ai suoi soci. In questo contesto il caratteraccio del manager che non concede un fico secco a nessuno è apparso fuori luogo. Unicredit non è una banca qualsiasi e a Roma non si capisce come la finanza possa aprire una crisi al buio. Senza un’alternativa già pronta. Sarebbe un’operazione antisistema. Sembra di capire che  la frattura tra la banca e i palazzi romani ora sia davvero grave. Profumo non è mai stato uno dei paladini dell’attuale maggioranza: tutt’altro. Ma pensare che da oggi le deleghe siano affidate al tedesco Rampl preoccupa. L’uscita di Profumo  cambia più di qualche assetto del vecchio salottino milanese. Salta di fatto uno degli azionisti forti di Mediobanca dei giovani Nagel e Pagliaro che a sua volta è prima socia delle Generali del neopresidente Cesare Geronzi. Solo con la scelta  del sostituto di Profumo si capirà chi veramente si è rafforzato». Marcello Zacchè traccia il profilo di Profumo. «La 15ennale esperienza di Alessandro Profumo al vertice di Unicredit è arrivata al capolinea dopo almeno sei mesi di rincorrersi di voci sulle sue dimissioni. Sarebbe la vittima italiana più illustre della crisi finanziaria.  Almeno in parte il banchiere si è complicato la vita da sé.  Da tempo Profumo si era trovato isolato, inviso sia ai soci e gli viene  rimproverata  l’arrogance di non voler condividere nulla». Interista e prodiano. «Aveva partecipato alle Primarie  dell’Ulivo di Romano Prodi nel 2005  e come banchiere  copriva un politica di stampo prodiano dove il potere fa leva  sui grandi gruppi creditizi in rapporto in qualche modo autoreferenziale. Uno schema che permetteva ai banchieri di guadagnarsi la propria autonomia attraverso il raggiungimento di grandi risultati. E Profumo lo ha fatto soprattutto utilizzando le leve della finanza. Ma la crisi del 2008-2009 lo ha indebolito senza che riuscisse a cambiare passo. La vicenda dei libici chiamati puntellare il capitale di Unicredit è solo l’ultima puntata  di questa storia.  È paradossale che possa costare il posto a Profumo la cui colpa è stata quella di non essersi impegnato a far digerire la pillola  agli altri soci. In verità la minaccia a Unicredit non arriverà ami da Tripoli, ma piuttosto potrebbe arrivare dal nord dai tedeschi che Profumo aveva finora tenuto buoni».

«Una guerra per banche» è questo il titolo di un riquadro nella parte bassa della prima pagina che IL MANIFESTO dedica al caso Unicredit. Nello strillo si legge: «Tra Libia e Lega – Verso le dimissioni l’ad Profumo». Il testo di Galapagos analizza la situazione: «La Libia è “molto soddisfatta”; la Lega “imbufalita”; Profumo, l’amministratore delegato, invece, tace. E potrebbe dimettersi oggi (…): sarà il presidente della banca, il tedesco Peter Rampl – (…) – che aggiornerà i soci sulla presenza e sulle intenzioni dei libici la cui colpa è di avere aumentato la loro partecipazione nella banca salendo complessivamente al 7,5 del capitale. I soldi di Gheddafi piacciono (ne sa qualcosa la Fiat) ma non piace che Tripoli metta il naso negli affari della società nelle quali  ha acquisito partecipazioni. Non piace soprattutto alla Lega (…)». Galapagos prosegue poi osservando che «non ci sono solo i libici e la Lega a tramare contro Unicredit: cioè anche un fronte tedesco (…)» e infine «Alessandro Profumo. Per ora tace e non gode dell’appoggio del governo di centrodestra. Ieri sera Radiocor lo dava in procinto di dimettersi. Il gioco sarebbe svelato. Finora era evidente che Berlusconi non sapeva scegliere tra il fare uno sgarbo ai libici o alla Lega, assatanata di potere. Cioè di soldi, ma incapace di gestire una banca come dimostra il caso CreditEuronord che fece un “botto” gigantesco. Poi fu salvata dalla Popolare di Lodi di Fiorani che evitò a parecchi manager leghisti guai seri con la giustizia».

“Profumo, è il giorno più lungo”, è il titolo del SOLE 24 ORE di oggi che dedica alla questione Unicredit le prime tre pagine del giornale e il commento in prima di Orazio Carabini, dal titolo “Il richiamo della foresta clientelare”: «Profumo sta combattendo una guerra d’indipendenza. Se perde, questo conflitto potrebbe avere un esito preoccupante, con la politica a tentare subito di riconquistare zone franche di potere nel sistema bancario italiano. Profumo si è messo in cerca di soci che lo sostengano contro chi gli vuol suggerire a chi prestare i soldi, non con l’occhio allo sviluppo ma a interessi extraeconomici. Che siano libici, o emiri, o cinesi poco gli interessa, purché badino ai risultati di un gruppo bancario che è leader in Italia e tra i primi in Europa. E che, per inciso, egli stesso ha contribuito a costruire promuovendone la massiccia espansione all’estero e partecipando al consolidamento del sistema italiano tanto lodato da tutti nei giorni neri della crisi. La “nouvelle vague” delle fondazioni interventiste non gli va giù, tanto più che non è troppo “nouvelle” visto che rimette in onda vecchie pratiche degli anni passati. L’opinione pubblica italiana si era abituata al ruolo di azionisti strategici, saggi e lungimiranti, che le fondazioni sembrava si fossero date. (…) Ora il vento gira. Sarà stata la crisi, con la stretta creditizia che si è portata dietro. Sarà l’impronta “decisionista” dei politici che cercano egemonia al Nord. Fatto sta che le fondazioni cambiano pelle. Il dottor Jeckyll, che per vent’anni ha dialogato con il management, in alcune realtà (non tutte per fortuna) lascia il posto a un mister Hyde che pretende d’intromettersi nella gestione, per assecondare i desideri delle solite clientele. Le fondazioni rischiano così di diventare quello che non si voleva: il cavallo di Troia della politica nelle banche.  (…) La posta in gioco, con le dimissioni di Profumo che in tanti davano già ieri per scontate, però potrebbe essere ancora più delicata: l’indipendenza delle banche dalla politica. Un principio cui non dobbiamo rinunciare.

ITALIA OGGI dedica alle dimissioni di Profumo due pezzi pubblicati nella sezione Mercati e Finanza. Il primo, “ Profumo verso le dimissioni”, fa la  cronaca su quello che è successo ieri nei palazzi del gruppo bancario. Il secondo, “Manca la coerenza su piazza Cordusio” fa il punto sul  rapporto tra sistema bancario italiano e i soci esteri. «Fino ad alcuni anni fa» si legge nel pezzo «non vigeva in Italia l’accusa di chiusura al sistema bancario e alla Banca d’Italia? Non si pensava da più parti che la presenza bancaria estera nel nostro territorio avrebbe risolto tutti i problemi dei rapporti tra banca e impresa, che si sarebbe data vita a una sorta di età dell’oro, una palingenesi, grazie alla calata delle aziende di credito straniere in Italia, che quella presenza, insomma, sarebbe stata taumaturgica?» Morale della favola: «I libici, secondo molti Soloni, vanno bene per la Fiat e per Capitalia, ma non per Unicredit. La serietà e la coerenza? Non sono di questo momento.
 
Richiamo in prima di AVVENIRE e servizio a pagina 23 che parla del “Pressing su Profumo”.  Dopo la scalata dei libici (ormai sopra il 7%)  e i rapporti tesi con i soci italiani Unicredit si trova al bivio e nel consiglio di amministrazione straordinario convocato per oggi l’amministratore delegato potrebbe lasciare l’incarico. Allo “zar che ha conquistato l’Europa” è dedicata una biografia che ripercorre i passi di una carriera cominciata a 19 anni dietro lo sportello del Banco Lariano in Piazzale Loreto. Dopo un viaggio studio a Londra  a 30 anni Profumo torna a studiare e in pochi mesi recupera una laurea (alla Bocconi) che aveva quasi lasciato perdere. La serie delle sue vittorie a catena va dal ’99 al 2003, con la conquista di istituti di credito in Polonia, Bulgaria, Croazia, Romania e altri Paesi dell’est. La mossa decisiva, nel 2005, è la conquista di Hvb, seconda banca tedesca per capitalizzazione. Un percorso di crescita che arriva fino al 2007 e alla fusione con Capitalia che fa di Unicredit una delle maggiori banche europee; un istituto capace di attrarre anche capitali stranieri. Come quei fondi libici che (forse) oggi costeranno a Profumo l’addio. Oggi infatti, secondo il giornalista Giuseppe Matarazzo: «Il malessere che cova da mesi non sembra più contenibile… Il nodo da sciogliere è se i due soggetti libici (Central Bank of Lybia e Lia – Lybian Investment Authority) sono indipendenti un dall’altro o collegati al punto da far scattare il limite statutario al diritto al voto in assemblea». Critiche vengono dalle Fondazioni, tanto che il presidente Crt Andrea Comba ha dichiarato che la Fondazione è stata “storicamente la più fedele a Profumo, ma che “occorrerà verificare in assemblea se il suo operare sia stato o meno conforme ai nostri interessi”. AVVENIRE riporta anche il commento del sindaco di Verona Flavio Tosi che ha detto: Profumo è sicuramente un manager di alto profilo, ma questa vicenda l’ha gestita un po’ in proprio. Chi sbaglia paga».

 Per la sostituzione di Profumo sarebbe già pronta una short list, scrive LA STAMPA a pagina 2. La candidatura che in questo momento appare più forte è quella di Claudio Costamasnaga, il banchiere che nel maggio 2007 era stato chiamato da Cesare Geronzi per pilotare la fusione di Capitalia in Unicredit. Gli altri nomi che circolano sono quelli di Fabio Gallia, ad e direttore generale di Bnl, Giampiero Auletta Armenise, ex ad di Ubi Banca e Matteo Arpe, presidente di Banca Profilo. Secondo la ricostruzione de LA STAMPA a pagina 3 (“Da Tripoli alla governance. Così l’ad finisce nell’angolo”), domenica si è arrivati a un’ipotesi che prevede per Profumo una buonuscita di 35 milioni di euro, che l’ad ha rifiutato). In un pezzo a piede, “I soci in rivolta e la sponda di Tremonti” LA STAMPA spiega che non è rimasto che «un insolito asse» a difendere l’ad di Unicredit: Cesare Geronzi (che ieri ha invocato “un quadro politico-istituzionale di stabilità” e Giulio Tremonti. Solo ragioni di stabilità del sistema bancario fanno pendere in questo momento la bilancia in favore di Profumo. Ma probabilmente è troppo tardi.

E inoltre sui giornali di oggi:

OBIETTIVI DEL MILLENNIO
IL SOLE 24 ORE – “Sarkozy: Tobin tax anti-povertà”. Apertura dei pagina 12 sulla proposta rilanciata dal presidente francese al vertice Onu sugli obiettivi del millennio e la cronaca dell’avvio del vertice di New York: «Secondo l’economista americano Jeffrey Sachs, consigliere speciale del Segretario generale dell’Onu per gli Obiettivi del Millennio, il fattore-chiave è l’insufficienza degli aiuti internazionali. Soltanto sul fronte della sanità, per poter far fronte alla sfida, serviranno nel prossimo quinquennio 40 miliardi di dollari all’anno – pari allo 0,1% del reddito di Usa, Unione Europea, Giappone e Canada messi insieme, quindi in teoria cifra non irraggiungibile. Ma sebbene la Dichiarazione del 2000 abbia contribuito ad aumentare gli aiuti dagli 8 miliardi di quell’anno agli attuali 20, rimane ancora un deficit del 50%. Per questo Sachs non ha esitato ad accusare i maggiori paesi donatori di aver “trascurato le promesse di aiuti fatte, e in particolare il raddoppio degli aiuti all’Africa entro il 2010”. In un suo intervento pubblicato in questi giorni dalla rivista inglese Lancet, Sachs ha scritto che “questi paesi da tempo promettono di arrivare a donare lo 0,7% del proprio Pil, ma in realtà continuano a donare solo la metà di quanto promettono”». Approfondimento sull’Italia “Roma solo penultima nell’aiuto allo sviluppo”: «Un Paese, l’Italia, che, nonostante tutto, crede ancora nella lotta alla povertà e alle malattie. Che partecipa con passione alle campagne delle Nazioni Unite come l’ultima “stand up” che ha visto in prima fila scrittori come Roberto Saviano e sportivi come Iuri Chechi. Ma l’entusiasmo si esaurisce lì perché appare assai poco condiviso dalle autorità di governo. Quest’anno il premier italiano, Silvio Berlusconi, non sarà tra i 148 capi di stato o di governo presenti al vertice sugli obiettivi del Millennio aperto ieri a New York dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e neppure ai lavori dell’assemblea generale del Palazzo di vetro. In sua vece il ministro degli Esteri Franco Frattini cui toccherà spiegare come mai l’Italia ogni anno scivola sempre più in basso nella classifica internazionale dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Spiegazioni che forse potrebbe fornire meglio il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, autore di molti dei tagli alla cooperazione».

AVVENIRE – “Onu a consulto sulla povertà – Sarkozy: tassa per la finanza” è il titolo che annuncia la pagina 3 tutta dedicata alla sessione Onu sugli 8 Obiettivi del Millennio, primo tra tutti la riduzione della povertà. Il segretario Ban Ki-moon ricorda i 26 miliardi promessi che ancora mancano e il presidente francese rilancia l’idea di una “Tobin Tax” per la finanza. In una intervista, l’esperto Nicolas Mombrial di Oxfam (una delle ong più importanti a livello internazionale) l’idea di una imposta sulle transazioni è giusta e darebbe subito 400 miliardi da spendere.

LA STAMPA – “Sarkozy: Una tassa mondiale sulle transazioni”. Fotonotizia in prima pagina del presidente francese, che al summit sugli obiettivi del millennio in corso a New York ha proposto una tassa globale sulle transazioni per combattere l’aumento della povertà. «La finanza è diventata mondiale e quindi è doveroso chiederle di contribuire alla stabilizzazione del mondo» ha detto Sarko. Secondo l’osservatorio intergovernativo Leading Group, la tassa sulle transazioni finanziarie già proposta più volte in passato prevista con aliquota minima dello 0,0 05% sulle operazioni effettuate con le quattro principali valute del mondo potrebbe generare un flusso di fondi pari a 33 miliardi di dollari l’anno da destinare alla lotta alla malattie. La proposta di Sarkozy è stata appoggiata dal premier spagnolo Zapatero, mentre gli Usa restano scettici.

ROMA CAPITALE
IL MANIFESTO – Apertura dedicata alla breccia di Porta Pia con la foto principale della prima pagina de IL MANIFESTO  che mostra il papa che indossa un cappello da bersagliere «Ha fatto breccia» questo il titolo. Nel sommario: «Dopo 140 anni si chiude la breccia di Porta Pia. Il cardinale Bertone (ministro degli esteri del Vaticano) partecipa alle celebrazioni per la liberazione della città dal potere temporale del papa. Ma oggi l’Italia berlusconiana non è laica, con la Chiesa padrona dell’etica nazionale (e dell’8 per mille). Nei festeggiamenti più che l’orgoglio delle radici contano il tesoretto del finanziamento per Roma Capitale e la sfida della Lega», due le pagine dedicate al tema e il commento di Giovanni De Luna in prima pagina «Addio alla religione civile».

ADRO
IL SOLE 24 ORE – “Ad Adro un conto da 30mila euro”: «La lettera del direttore dell’ufficio scolastico della Lombardia che su richiesta del ministro Mariastella Gelmini intima la rimozione del simbolo dal tetto e dagli arredi scolastici è arrivata al sindaco, e la parola dovrebbe passare alla giunta comunale, mentre l’opposizione dentro e fuori il consiglio annuncia di aver già chiesto alla corte dei conti di mettere sotto esame i riflessi finanziari dello slancio simbolico mostrato dal comune nell’arredare la nuova scuola. “Il costo per eliminare i simboli – ha spiegato il portavoce locale del Pd, Silvio Ferretti, ai microfoni di Radio24 – potrebbe arrivare a 30mila euro”.

ASILI NIDO 
ITALIA OGGI – “Tra attese e costi, nidi proibitivi”.  Il quotidiano dei professionisti pubblica i dati della ricerca Uil sui costi della scuola per l’infanzia. L’indagine prende in esame 22 comuni capoluogo di regione prendendo come campione una famiglia con due figli a carico di cui uno minore di tre anni con un reddito di 36 mila euro annui da lavoro dipendente. Ecco le cifre: nelle strutture comunali sono il 13% dei bambini trova posto. Se il pargolo rientra tra il 12.7% che un posto lo trova, tra retta e mensa i genitori sborsano 3.270 euro l’anno, ovvero 256 al mese. Catanzaro  con 138 euro mensili è la più economica. A Roma si viaggia sui 199 euro mensili e 300 a Milano. 

CINA
LA REPUBBLICA – R2 fa una inchiesta sulle donne in Cina e scopre che sono il 39% degli amministratori delegati e il 70% degli ammessi ai master nei migliori atenei. Il miracolo cinese insomma è rosa: «il vero motore del miracolo asiatico sono loro, le donne. Che studiano più dei maschi e danno la scalata ai vertici delle aziende premiate dal mercato». Un fenomeno che non si limita al privato: il 67% degli uffici pubblici è guidato da una dirigente. Il cambiamento si vede ovunque, tranne che in politica.

AFGHANISTAN
IL MANIFESTO – L’articolo di apertura della pagina esteri (pag 8) è dedicato al ridispiegamento delle forze militari nella provincia di Helmand «Kabul, per Obama si apre un altro fronte» I soldati inglesi lasciano la provincia di Sangin, nella zona più pericolosa dell’Afghanistan arrivano i marine Usa, ma anche gli italiani che si avvicinano sempre più alle roccaforti dei taliban. In un box all’interno dell’articolo si parla della posizione dei parenti delle vittime espressa dall’associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti che chiedono di togliere ogni ipocrisia e chiamare quella in Afghanistan «guerra». Il presidente dell’associazione Falco Accame osserva che «Se quella in Afghanistan fosse considerata una guerra, agli orfani e alle vedove spetterebbero i trattamenti previsti per una situazione di guerra (…)», insomma applicando il codice di pace le vittime non hanno il «dovuto risarcimento, che in condizioni di guerra ricevono trattamenti molto più adeguati».

SICILIA
LA REPUBBLICA – Oggi il governatore Lombardo dovrebbe varare il suo governo dal quale resta fuori il Pdl regionale. Entrano invece il Pd, l’Udc di Casini, l’Mpa, l’Api di Rutelli e Fli. Dodici assessori tecnici indicati dai partiti. Micciché, colonnello isolano del Pdl, grida alla «follia» e pensa a un nuovo partito. Anche Calogero Mannino, Udc, sta meditando la stessa scelta.


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