Politica

Federalismo, un fardello chiamato debito

Sulla questione interviene anche l'Europa

di Maurizio Regosa

Quanto “pesano” i 70 miliardi dovuti alle imprese
fornitrici di servizio? Ancor prima di spiccare il volo, il federalismo rischia un flop, appesantito com’è da un fardello gigantesco. E cioè dai debiti (tra i 60 e i 70 miliardi di euro) che gli enti locali hanno accumulato nel corso degli anni nei confronti delle imprese fornitrici in particolare di servizi. Aziende che in alcuni casi sono in lista d’attesa da più di 18 mesi e che ormai sono allo stremo: i prestiti e le anticipazioni bancarie (d’altro canto onerosi) non bastano più e in una congiuntura difficile come l’attuale ognuno può immaginare le conseguenze.
Un problema che torna oggi alla ribalta a causa di due iniziative entrambe rilevanti. La prima porta la firma della Commissione europea: a Bruxelles è passata una direttiva che vincolerà i tempi dei pagamenti a un massimo 60 giorni (si introduce, in caso contrario, una sanzione dell’8%). Il provvedimento dovrà essere approvato dal Parlamento (il voto è previsto per ottobre) e poi dovrà essere recepito dai singoli governi (il che potrebbe richiedere anche due anni).
La seconda è invece una iniziativa tutta nostrana: le aziende che siedono al tavolo inter-associativo del Taiis (e fra queste le centrali cooperative, le cui rappresentate sono coinvolte per circa un terzo del debito) hanno presentato a Roma una indagine condotta dalla fondazione Astrid (presieduta da Franco Bassanini) e le loro proposte per risolvere una questione che, se non affrontata, potrebbe essere d’ostacolo al percorso di responsabilizzazione finanziaria degli enti locali. «In particolare per le regioni non virtuose quelle che hanno preparato un piano di rientro per la sanità, cosa succederà? Come saranno onorati i debiti del passato e che sono trasmigrati magari da un esercizio all’altro?», si chiede Franco Tumino del Taiis.
E già, come si fa se non si sa precisamente quanto si ha ancora da pagare? Una incertezza che emerge anche dalla ricerca Astrid: le somme scivolate di bilancio in bilancio hanno fin ad ora impedito una seria ricognizione.
Ed è per questo che il Taiis parte da qui: «Occorre anzitutto avere una piena consapevolezza del fenomeno, quantificare i debiti e poi creare piani di rientro decennali», spiega Tumino. Perché decennali è intuitivo: non diluiti nel tempo questi 60/70 miliardi potrebbero sbilanciare il patto di stabilità e quindi costringere il governo a una interlocuzione con l’Europa. «Diluiti su un maggior arco temporale invece non inciderebbero più dello 0,4% del Pil annuo».
Se questa misura riguarda il debito “storico”, per quello corrente (o poco più) non mancano proposte operative. Anzitutto lo snellimento della procedure («che si debba pagare una fattura di un euro o di un milione, la pratica è la stessa»), poi l’introduzione di maggior trasparenza (e di minor discrezionalità), infine la possibilità di compensare questi crediti in sede fiscale o di cederli alla Cassa depositi e prestiti. «Siamo fiduciosi», conclude Tumino, «perché l’iniziativa comunitaria dovrebbe spingere il governo ad affrontare finalmente questo problema».

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