Welfare

Le vecchie carceri scoppiano e le nuove restano vuote

di Redazione

Al lavoro nel Parco
Capi di abbigliamento e gadget con il marchio «Parco nazionale del Gran Paradiso», tutti prodotti con materiali ecocompatibili, saranno realizzati da donne detenute nella Casa circondariale di Vercelli, nell’ambito di un progetto, gestito dalla cooperativa Codiceasbarre, che si chiama «Libero di vivere». Si tratta di due linee di abbigliamento, una per adulti e una per bambini, con colori e animali legati al Parco del Gran Paradiso. Lo slogan «Libero di vivere» è stato creato per esprimere da una parte la sensazione di libertà che si può vivere in un’area protetta, dall’altra i piccoli spazi di libertà che le detenute possono avere quando sono impegnate in un progetto che le fa sentire utili e dà loro un po’ di indipendenza economica.
Io, mamma di una giovane donna detenuta
Di solito gli unici famigliari di detenuti che riescono a trovare un po’ di ascolto sono quelli a cui muore un figlio all’interno della galera, per suicidio, per malasanità, per incuria di chi doveva custodirlo. Ma sulle pagine del giornale del carcere di Brescia, Zona 508, si possono leggere i coraggiosi interventi di Marina, che rappresenta invece quei tanti famigliari che vivono giorno per giorno i viaggi, le attese, le perquisizioni, le umiliazioni e cercano di non mollare mai, per amore dei figli. «Sono la mamma di una giovane donna detenuta, vivo fuori dal carcere ma il mio cuore è “dietro le sbarre”. Da più di due anni, infatti, sono una delle numerose persone che ogni settimana varcano la soglia di un carcere per incontrare un loro parente. Siamo centinaia, soprattutto donne, uniti da una grande solidarietà e da un grande rispetto reciproco che prescindono dalle nostre etnie, dal nostro ceto sociale».

Vecchie carceri piene, nuove carceri vuote
C’è una nuova sezione del carcere di Rimini, si chiama «Cassiopea», e resta chiusa, nonostante il sovraffollamento, perché manca personale. Gli agenti infatti sono 100 anziché i 160 che sarebbero necessari, e per gestire il carcere anche con la nuova sezione aperta dovrebbero sopportare turni di lavoro di oltre nove ore al giorno. La storia si ripete, non ci sono soldi neppure per far funzionare strutture già pronte e disponibili, forse sarebbe il caso di tornare a pensare alle misure alternative.

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