Mondo

Il numero verde rischia di ‘spegnersi’

Chiamate a picco da quando il Governo ha chiuso le sedi locali. Parola della responsabile del servizio

di Daniele Biella

“Se continua questa costante riduzione delle chiamate, il numero verde antitratta è destinato a spegnersi”. L’allarme arriva da Cinzia Bragagnolo, responsabile della sede nazionale del servizio, rimasta l’unica attiva dopo il taglio alle 14 sedi locali entrato in vigore dopo il 31 luglio scorso. “Se prima ricevevamo una media di 15 chiamate al giorno, ad agosto siamo scesi a 6”, spiega a Vita.it Bragagnolo, che è anche coordinatrice del servizio marginalità urbane del Comune di Venezia, ente che ha in appalto l’organizzazione del numero verde fino al 31 dicembre 2010.

Più del 50% di chiamate in meno in un solo mese, quindi. Come si spiega? “Venendo meno le postazioni locali e quindi i singoli operatori che erano i punti di riferimento territoriali di chi effettuava le denunce, si è creato un corto circuito che disincentiva le vittime di tratta a chiamare”, riprende la responsabile. Il meccanismo è relativamente semplice: “la persona chiama una prima volta, noi non avendo più nessuno a cui indirizzarla a livello locale dobbiamo chiederle di lasciare il numero e dirle che sarà ricontattata in futuro. Ma poi il tempo passa e la persona capisce che noi non siamo in grado di darle delle risposte”. La graduale diminuzione, settimana per settimana, delle telefonate rischia di far diventare il numero antitratta “un contenitore vuoto, anche perché da tempo non ci sono campagne pubblicitarie a livello nazionale o locale che mettano a conoscenza del servizio le persone”.

La speranza, ora, è affidata alla riunione che verrà effettuata il prossimo 15 settembre al Dipartimento delle pari Opportunità del ministro Mara Carfagna, dove interverranno tutte le sigle del non profit e pubbliche che gestivano le sedi del numero verde. Proprio loro a fine luglio, alla notizia del mancato rinnovo del bando per l’assegnazione delle postazioni locali, avevano denunciato i tagli chiedendo un incontro al ministero per far luce sulle prospettive future: “ci avevano detto che erano in una momentanea situazione di difficoltà economica e che con il nuovo anno il servizio sarebbe stato ripristinato, ora aspettiamo la riunione per capirne di più”, aggiunge Bragagnolo.

Tra le varie problematiche nate con la chiusura alle sedi locali, una di quelle più degne di nota riguarda lo sfruttamento lavorativo: “dall’inizio del 2010, dopo i fatti di Rosarno, molti immigrati, soprattutto cinesi e maghrebini, chiamavano per denunciare le insostenibili condizioni di lavoro e i raggiri di cui erano vittime, compresa la vendita di falsi nulla osta lavorativi e permessi legati alla sanatoria delle badanti”. I numeri erano alti: “nei primi 5 mesi dell’anno, nella sola zona del Triveneto, che noi avevamo in gestione diretta oltre al servizio nazionale, abbiamo ricevuto 17 chiamate, il 31% del totale, mentre nel 2009 si era al 14%”, rileva la responsabile. “Ma soprattutto, ognuno chiamava anche per decine di ‘colleghi’ che erano nelle stesse condizioni, tanto che siamo arrivati a 96 colloqui totali”. Il problema è che proprio ad agosto, uno dei mesi principali di lavoro nei campi, la chiusura delle sedi locali ha praticamente azzerato questo tipo di chiamate: “ora la persona chiama ma non trova risposte immediate, e noi la ‘perdiamo’”, conclude Bragagnolo. È stato vanificato un grosso lavoro culturale e si è interrotta una prassi che si stava rivelando virtuosa”.


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