Non profit
Lo stage nel non profit non passa l’esame
I dati di un sondaggio della "Repubblica degli stagisti"
Solo il 17% dei tirocini si conclude con un’opportunità lavorativa. E spesso la qualità formativa lascia a desiderare. Con qualche ragguardevole eccezione I giovani italiani bocciano i tirocinî svolti nel non profit. È uno dei settori che offre minori opportunità di lavoro a fine stage e con la qualità formativa più bassa. I due dati, nient’affatto lusinghieri, sono contenuti nella pubblicazione Gli stagisti italiani allo specchio che elabora le risposte a un questionario lanciato da Repubblica degli stagisti, giornale online di approfondimento e di denuncia sul tema, e dall’Isfol, l’agenzia del ministero del lavoro. Tremila i ragazzi (e non più) che hanno risposto. Di questi circa il 3% ha fatto esperienza nel terzo settore.
I dati, è il caso di precisarlo, conviene prenderli con le pinze. Per tre motivi. Perché si tratta di un sondaggio on line e non di una ricerca su un campione strutturato; perché non è chiaro se la voce “non profit” comprenda soltanto l’arcipelago del volontariato e dell’associazionismo di promozione sociale o anche la cooperazione sociale, e infine perché, come chiariscono gli autori della ricerca, la qualità di uno stage dipende anche dalle aspettative di chi lo fa. Se non si trova lavoro, il giudizio sarà negativo.
«Le associazioni», aggiunge Voltolina, «spesso ignorano, talvolta colpevolmente, i limiti che la normativa pone al numero di stagisti ospitabili. Se l’ente non ha neanche un dipendente a tempo indeterminato, cosa frequente nel non profit, non può ospitare neanche uno stagista». Camuffano, inoltre, il volontariato da stage. «Questo permette alle non profit, attraverso un procedimento non cristallino, di accaparrarsi dei “volontari extra qualificati” anziché casuali, semplicemente cambiando loro il nome da “volontari” a “stagisti”».
Secondo l’Isfol, i dati sul non profit «aprono un’interessante finestra su di un settore che, in linea di principio, attira molti giovani nelle proprie strutture, ma che ancora soffre di problemi organizzativi e, non infrequentemente, di obiettivi non chiaramente definiti della propria mission». Quasi senza appello invece il commento della direttrice della “Repubblica degli stagisti”. «Il non profit deve ritrovare un po’ di coerenza: se si predica bene non si può razzolare male. Stage e volontariato sono due cose ben distinte: comportano da parte delle persone aspettative e obiettivi ben diversi. Se si offre uno stage, anche in un’organizzazione non profit, anzi io direi soprattutto, lo si dovrebbe fare nel pieno rispetto della dignità dello stagista. È triste dirlo, ma molti ragazzi che si avvicinano al non profit, a causa di stage organizzati male, finiscono per allontanarsi dal non profit, disillusi, delusi dal “marcio” che c’è sotto».
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