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Che ci faccio io qui?

Pietro Barcellona racconta le ragioni della sua presenza a Rimini

di Marco Dotti

In un’Italia che ad ogni colpo abbassa la guardia, incapace di pensare e fare un presente che non sia solo sdegno da salotto buono su voci da retrobottega di palazzo, che cosa sarà mai questo Meeting di cui parlano tutti, ma proprio tutti i “media che contano” in questi giorni di fine estate? Persino il manifesto, che per le sue pagine di politica nazionale solitamente si muove per altri lidi (non solo mentali), si è accorto che qualcosa non torna, come nel calcolo dei dadi di montaliana memoria e ha chiesto a Pietro Barcellona, che della sinistra intellettuale e critica è stato ed è uno dei più illustri rappresentati, il “perché”  della sua presenza al Meeting.

E il perché è presto detto, e lo ripete anche a noi: «sono le persone che incontri, entusiaste, cariche di un’energia diversa, portatrici sane di presente, mai vittime di un’adesione  passiva. È per loro che vengo, perché c’è un rapporto empatico, la possibilità di non cadere nella logica che divide sempre il “sì” dal “no”. Alla massa informe delle Love Parade, votata al nichilismo, io contrapporrei questa, carica di umanità, vita, progetto». Certo, poi ci sono la politica, l’alta finanza e l’industria, con i dibattiti più in vista, a catalizzare le attenzioni dei media e di chi pensa che qui si decidano le sorti della politica nazionale come se ancora si dovesse scegliere tra passare o ritirarsi dal Rubicone.Varcasse oggi il Rubicone – che non a caso passa a pochi chilometri da qui –  un redivivo Cesare si troverebbe invece spaurito e incapace di decidere, perché neppure la sorte potrebbe oramai offrirgli una facile via di fuga da una logica divenuta con gli anni sempre aberrante.

Una logica che cinicamente divide il mondo in amici e nemici, con tutto ciò che in termini di farsa o tragedia questo comporta. E a questa tragedia, anche Pier Paolo Pasolini dedicò versi splendidi: «Di qua del Rubicone / Cristo lacrimava./ Di là del Rubicone un altro gridò / L’È E CREST DLA MI MAMA (è il Cristo della mia mamma) / e venne con Cristo di qua del Rubicone». Su quel “venne con” e sui versi di Pasolini, che non dimentica di richiamare, insiste ancora Pietro Barcellona. Intellettuale di rango, già parlamentare del PCI e membro del Consiglio superiore della Magistratura, da tre anni oramai ospite al Meeting, Barcellona è fuori da ogni logica di conversione o di adesione, da ogni calcolo: viene, parla, critica (anche duramente), ascolta, risponde. Ha per tutti un sorriso, si sente a casa senza sentirsi in gabbia. Applaudito ieri sera da una folla di ragazzi entusiasti – dopo un dibattitosul donare e sul donarsi e sulla necessità di un ” discorso”, anche politico, che rifugga dalle logiche dell’utile –  Barcellona ci confessa di ritrovare qui, senza nostalgia né indulgenza al patetico, quella capacità di calarsi nella vita e nel presente che ritrovava nelle feste dell’Unità, dove i volontari non erano solo “braccia non pagate”, ma ci mettevano del loro, in termini di entusiasmo, forza, voglia di fare. Forse è questo che rende il Meeting tanto “popolare e vitale”, forse è questo che lo rende al tempo stesso, fuori da qui, tanto impopolare.

È come se si intrecciassero due fiumi, uno che scorre in superficie, visibile a tutti –  con le dichiarazioni di Emma Marcegaglia e Tremonti, con la Gelmini e Marchionne – e uno più sottile e carsico, composto da migliaia e migliaria di giovani che non soltanto “sorridono” e “applaudono”, ma discutono e commentano. Quale dei due sia il fiume più forte e vitale, quale dei due sia transitorio e quale rimarrà, non è difficile comprenderlo.


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