Mentre la politica e l’informazione italiana si trastullavano sull’asse Fini-Gaucci-Tulliani e la scena politica era occupata da dossier, ricatti e intimidazioni che hanno mandato a gambe all’aria la solida maggioranza uscita dalle urne (dal canto suo il Pd continua serenamente la sua storia di nullità politica sperando soprattutto nelle disgrazie altrui), i problemi che avevamo davanti ad inizio agosto (lavoro, economia, efficienza della macchina statale, politiche per lo sviluppo, scuola e formazione, ect) si sono incarogniti e si ripresenteranno alla ripresa con tutto il loro peso di realtà.
Un peso che rischia di essere insostenibile per troppi italiani e troppe famiglie se il quadro politico evolverà nella direzione di lunga e velenosa campagna elettorale o di qualche alchimia parlamentare per dotare il Paese di un governo quale che sia.
Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, intervistato in occasione del Meeting di Rimini, ha posto una questione interessante: «L’economia, il tessuto vivo dell’associazionismo, in questi anni è riuscito a rigenerarsi indipendentemente dal potere. Ma fino a quando può reggere?».
Dovrà reggere, viene da rispondere, bisognerà fare in modo che regga, trovando ancora una volta energie e legittimazioni dal basso piuttosto che dall’alto. Certo, pressando quel che resta di una politica sempre più lontana dalla realtà e dalla vita e a quel che resterà di un Governo in affanno e in ritardo su troppi problemi, gridando, per rubare uno slogan un tempo caro a Berlusconi, “Lasciateci lavorare”. Almeno.
Non credo sia più possibile che questa politica e i partiti che oggi la agiscono siano capaci di autoriformarsi, di rinnovarsi. Occorrerebbe un’ultimo spiraglio di ragionevolezza che suggerisca alla politica di ricostruire qualche nesso e un dialogo vero con la società civile.
Del resto, i partiti se non si paragonano a esperienze di base, si ideologizzano, così come accade oggi al centrodestra che produce più ideologia che atti di Governo.
Ma perché questa pressione sui partiti e sulla politica possa lievitare sino al sogno di una stagione costituente, occorre che tutti ci sentiamo in questione, fuori da ogni recinto e liberi da presunzioni morali. Occorre aver chiaro che il confine tra il bene e il male passa ogni giorno dentro ogni nostro atto, perciò ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso producendo la maggior dose possibile di bene, ogni giorno.
Evitando le trappole che i mass media ci confezionano ogni giorno facendoci sentire”spettatori”, come se la possibilità di male riguardasse solamente gli altri.
Occorre, invece, un popolo di attori protagonisti, di “liberi e forti” avrebbe detto don Luigi Sturzo, occorrono persone consapevoli che non serve condannare, lamentarsi, recriminare (attività da spettatori), ma vale di più rispondere al male con il bene.
Perché solo questo cambia davvero le cose; solo questo cambia le persone e, di conseguenza, la società.
Rimbocchiamoci le maniche, quindi. Non è più tempo di chiacchiere, direbbe Shakespeare.
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