Non profit

“Rotatorie sociali” per le reti di famiglie

Un'esperienza costruttiva e flessibile proposta da Cnca

di Benedetta Verrini

S’intitola “Rotatorie sociali-Pensieri ed esperienze delle reti di famiglie aperte del Cnca” ed è un libro di testimonianza, ma anche di progetto, sul futuro dell’accoglienza familiare in Italia. Le reti del Cnca propongono un’esperienza costruttiva e flessibile, fatta di cultura solidale e di partnership con il pubblico per rimettere al centro i diritti dei minori.
Per parlare di nuove forme di accoglienza, le famiglie del Cnca partono da una provocazione. In tempi di riduzione di risorse per il sociale, il denaro per costruire una rotatoria stradale non manca mai. Allora perché non chiedere d’investire su un’altra “rotatoria”, quella sociale, in cui tutte le competenze e le responsabilità sono condivise? Il testo propone una rosa di esperienze in cui tutte le regole sono sovvertite per ri-focalizzare l’obiettivo finale: i diritti e gli interessi di un minore in difficoltà.
La prima parte del libro è un’agile esposizione della funzione di una “rete di famiglie” rispetto alla funzione dell’accoglienza. Essere in rete significa, prioritariamente, non trovarsi mai soli rispetto a tutto ciò che comporta l’affido: la relazione con l’ente pubblico (con il quale la rete funge da “filtro”); le responsabilità e la fatica educativa; il rapporto con la famiglia d’origine; il confronto costante con altri nuclei; il supporto di figure professionali come l’educatore, oltre agli incontri di mutuo-auto aiuto.
All’interno di questo schema che neutralizza le paure e la solitudine di fronte alla rigidità delle prassi dell’ente pubblico, si combinano esperienze uniche, avanguardistiche, in cui l’accoglienza di un minore è stata davvero declinata in modo personalizzato, con risposte inedite e flessibili. Si tratta di forme d’accoglienza minuziosamente descritte nella seconda parte del libro, raccontate con passione ma anche scrupolo oggettivo per poterle “esportare”, come pratiche eccellenti, in altri territori. Si va dall’esperienza di affido di neonati nel Bolognese all’affido “omoculturale” a Milano; dall’affido professionale alla famiglia affidataria con un educatore “interno”; dall’affido di adolescenti fino alla collaborazione tra reti di famiglie e comunità. Esperienze vive, vere, che si raccontano da sole e testimoniano la necessità di declinare l’accoglienza secondo schemi flessibili, ma non per questo meno chiari ed efficaci.
C’è, ad esempio, un interessante capitolo sui “confini” dell’accoglienza. Un passaggio doveroso e al contempo “doloroso”: la difficoltà dei tempi, l’aumento del malessere sociale e la contestuale diminuzione della capacità d’intervento dei servizi hanno reso le famiglie affidatarie dei facili “parafulmini” per situazioni insostenibili. Con l’affido di un bambino, l’ente pubblico non può sentirsi sgravato delle sue responsabilità, trascurare il progetto educativo e il recupero della famiglia d’origine. Perché questo, si legge nel libro, significa “snaturare” la funzione di una famiglia affidataria e fallire l’obiettivo di proteggere il minore.

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