Cultura

Demolire Tor Bella Monaca? Ni

Interviene Stefano Boeri, architetto e urbanista, sul dibattito lanciato dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno

di Riccardo Bagnato

Non è stato il primo e l’unico annuncio che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha offerto in questo fine di stagione. Forse per via del fresco clima di Cortina d’Ampezzo dove si trovava, ma dopo aver ipotizzato una tassa sui cortei nella città eterna, il primo cittadino ha anticipato l’intenzione di demolire il quartiere popolare di Tor Bella Monaca e di ricostruirlo.

Secondo Alemanno, intervenuto a un dibattito intitolato “Estetica delle città” nel corso della manifestazione Cortina Incontra – è infatti necessario avere «il coraggio di dare nuova dignità urbanistica alle periferie, intervenendo anche con una operazione di demolizione e ricostruzione». Apriti cielo.

In ordine sparso hanno commentato politici (favorevole la maggioranza, contraria l’opposizione), ordini professionali (entusiasti in generale) e noti urbanisti con i dovuti distinguo e osservazioni di carattere tecnico. Quello che è certo – e su cui tutti concordano – è che qualcosa si deve fare, soprattutto per arginare il degrado sempre più evidente che caratterizza alcune periferie delle grandi città e quindi scongiurare il pericolo banlieue.

A intervenire nel dibattito oggi è Stefano Boeri, architetto e urbanista e docente di Progettazione Urbanistica presso il Politecnico di Milano nonché visiting professor al GSD di Harvard.

VITA: Professore, quella della demolizione dell’intero quartiere di Tor Bella Monaca è una boutade agostana secondo lei, o come fanno presagire le precisazioni del comune di Roma, è un progetto più che concreto?

Stefano Boeri: Di per sé, l’idea di una demolizione totale è non solo sbagliata, ma figlia di un autoritarismo determinista e ideologico molto pericoloso. Se questo, però, significa intervenire demolendo anche, ma parzialmente, introducendo elementi di socialità, forme abitative diverse, coinvolgendo realtà sociale che possano offrire soluzioni di affitto o vendita particolari, allora, come è successo ad esempio ad Amsterdam, non solo è necessario, ma urgente.

VITA: Quindi c’è del buono in quel che intende fare la nuova giunta romana?

Boeri: Ripeto. Non si tratta di demolire un intero quartiere, ma di fare interventi più o meno significativi in un tessuto da rivatilizzare. Le faccio un esempio: uno dei grossi problemi delle periferie progettate negli anni ’70 e ’80 è quello di averle pensate senza un piano terra. Mi spiego meglio. Se ci facciamo caso, ciò che rende particolarmente vivibile un quartiere sono i piani terra dove trovano spazio negozi e servizi. Se, come nel caso di Tor Bella Monaca, manca questa livello, di fatto si creano ghetti, dormitori, edifici muti uno con l’altro. Da qui bisogna ripartire. Ma le aggiungo un’altra osservazione. Quello di Alemanno è sicuramente un annuncio che dovremmo valutare alla prova dei fatti. Ma se questo significa agevolare la progettazione urbanistica rendendo più facile fiscalmente e culturalmente demolire credo che sia giusto. In Italia abbiamo poca dimestichezza. Non consideriamo che la demolizione è una possibilità.

VITA: E’ un caso, secondo lei, oppure ha una ragione storica che proprio Gianni Alemanno, un sindaco con una tradizione politica che affonda le sue radice nella destra sociale italiana, abbia reintrodotto nel discorso urbanistico il concetto di demolizione, un concetto molto caro alla Roma del ventennio?

Boeri: Guardi, non so come risponderle. Diciamo così: se ci fosse davvero una matrice culturale comune fra quello che ha annunciato Alemanno e l’urbanistica fascista ne sarei sorpreso, e positivamente. Quello è stato un periodo, da un punto di vista architettonico, molto importante e con realizzazioni apprezzabili. Temo piuttosto che il tutto si consumi in un’idea della politica che tende invece a semplificare troppo, ad alludere a una semplificazione, sovrapponendo degrado e urbanistica in modo ideologico, tale da far pensare che se si demolisce l’architettura in cui si sviluppa il degrado, allora scompare il degrado. Una tesi del tutto sbagliata e repellente. Le ripeto, oggi non dobbiamo costruire per allargare le città – e per inciso, abbattere palazzi, per sostituirli con case di pochi piani a questo porta – ma dobbiamo lavorare sulla città già costruita. Per questo dico, ben venga la demolizione, ma studiata, parziale, chirurgica, non totale.

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