Cultura

L’America è islamofobica?

Secondo Time Magazine la moshea a Ground Zero sta svelando i sentimenti anti islamici degli americani

di Martino Pillitteri

L’America è islamofobica? E’ questo il titolo della copertina del settimanale Time dedicato al putiferio mediatico e politico in seguito alla proposta della costruzione  di Park 51 Cordoba House Project, un centro islamico a paio di isolati da Ground Zero.

Secondo il Times, la potenziale edificazione del sito in questione (15 piani occupati da una moschea, un auditorium, piscina, un teatro, un asilo nido su Park Street) non solo non è voluta dalla maggioranza degli americani. Il dibattito sul centro islamico sta anche mettendo in evidenza il “distrust” (la diffidenza) degli americani nei confronti dei musulmani.

Secondo i sondaggi del periodico, il 61% degli americani non vuole l’edificazione di Park 51 nei pressi di Ground Zero; il 70% considera il potenziale centro islamico come un insulto alle vittime del World Trade Center. Ma non solo: il 28% degli americani ritiene che un musulmano non possa essere nominato e neppure candidato come giudice della Corte Suprema; il 46% ritiene che l’Islam incoraggi violenza contro gli adepti di altre fedi; un terzo del paese pensa che bisognerebbe vietare ai musulmani di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti.

Il vortice mediatico ha investito anche la Casa Bianca. Sempre secondo i sondaggi il 24% degli americani ritiene che President Obama sia un musulmano, contro l’11 per cento che aveva questa convinzione a marzo 2009. Il 24% non conosce la religione del presidente, mentre il 5% pensa che Obama non sia nè cristiano nè musulmano. Solo il 47% degli interpellati sa che Obama è un cattolico.

A sostenere che Obama sia musulmano sono – guarda caso – soprattutto coloro che appartengono a schieramenti politici diversi dal suo. Il 60% di quanti pensano che l’inquilino della Casa Bianca sia di fede islamica afferma inoltre di averlo appreso dai media e, in particolare, dalla tv. Circa l’11 per cento dice di averlo appreso dalle stesse parole del presidente o dai suoi comportamenti. 

Anche in Tenneessee
Non solo a New York, ed a Ground Zero, la costruzione di moschee provocano reazioni di proteste negli Stati Uniti, rivelando una crescente ostilità verso l’Islam. Come sta succedendo a Murfreesboro, un sobborgo di Nashville, in Tenneessee, dove la locale comunità islamica, dopo essersi riunita per oltre 30 anni in un appartamento di una stanza senza mai avere nessun problema, ha ottenuto il permesso per costruire una moschea vera e propria, con annesso centro islamico, con scuola, palestra e piscina, per un costo di 600mila dollari raccolti tra i fedeli.

Una mossa, ha scritto  il Washington Post, che sta provocandola reazione di protesta di centinaia di residenti che hanno avviato riunioni e manifestazioni, guidate da Kevin Fisher, un 44enne afroamericano, contro la moschea, arrivando a brandire cartelli con la scritta «manteniamo il Tenneessee libero dai terroristi».

«Non abbiamo mai sperimentato il livello di ostilità a questi livelli, per noi e’ una cosa nuova» ha dichiarato Saleh Sbenaty, un professore di ingegneria che coordina il progetto per la costruzione della moschea. Un’ostilità che ha portato già a episodi di vandalismo, con la scritta «muslims go home» dipinta sul luogo dove dovrebbe essere costruito il centro, e che sta diventando uno dei temi delle prossime elezioni di novembre. Con candidati repubblicani che non esitano a cavalcare i sentimenti anti-islamici, definendo l’Islam «una setta».

Senza contare il noto telepredicatore evangelico Pat Robertson che nei giorni scorsi in televisione parlava del rischio di una presa di potere islamico negli Stati Uniti che la comunità musulmana ha «pagato tangenti» alle autorità di Murfreesboro per ottenere l’autorizzazione al progetto.

Il caso di Nashiville – dove negli ultimi anni la comunità islamica e’ cresciuta da 20mila a 25mila persone, soprattutto con l’arrivo di profughi somali ed il trasferimento, deciso dal governo, di profughi curdi iracheni -non e’ isolato. La grande pubblicità che si sta dando alla controversia per la moschea a Ground Zero, sta dando spazio ad altre manifestazioni di questo tipo in altre parti del paese, dalla Florida – dove una chiesa ha annunciato che brucerà copie del Corano in occasione dell’anniversario dell’11 settembre – alla California.

A New York no, ma al Pentagono sì
Chi l’avrebbe mai detto. Mentre il paese litiga, arriva, inaspettatamente, dal Pentagono un messaggio di tolleranza nel dibattito che ormai infiamma l’intera nazione americana sulla moschea a Ground Zero. All’interno dell’edificio che ospita il dipartimento alla Difesa, a pochi passi dall’ala colpita dall’aereo dei kamikaze l’11 settembre che uccise 184 persone, già dal novembre 2002 esiste una cappella interconfessionale, che ospita anche le preghiere dei musulmani.

Ogni venerdì si trasforma in una sorta di moschea, con il sermone settimanale dell’imam. Lo ricorda oggi lo stesso Washington Post che sottolinea come, a differenza di quanto sta succedendo per il centro islamico che dovrebbe sorgere a poca distanza da Ground Zero, nessuno al momento dell’inaugurazione del luogo di culto – avvenuta poco dopo il primo anniversario degli attacchi dell’11 settembre – ha protestato. «Non abbiamo mai sentito una parola a riguardo, nessuno ha mai sollevato alcuna obiezione» hanno spiegato al Post i responsabili della sala di preghiera del Pentagono. E in questi otto anni mai nessun familiare, amico o collega delle vittime di quell’ attacco hanno alimentato polemiche. «Abbiamo giurato di difendere la Costituzione e la libertà di culto e’ un fondamento della nostra Costituzione», dichiara George Wright, un portavoce del Pentagono. Che racconta che, fino a questa settimana, non ha mai dovuto rispondere a domande dei giornalisti a riguardo.


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