Famiglia

madre teresa La storia continua

Una giornata con le Missionarie della Carità a Roma

di Redazione

Nella casa di accoglienza
al Celio vivono 50 persone senza fissa dimora.
Tutto è ordinato e pulito.
Ma le suore non si limitano a gestire la casa.
Ogni mattina escono e vanno negli ospedali
o alla stazione Termini
per incontrare
i bisogni degli ultimi
Roma, ore 8. Il cancello a metà della scalinata che porta alla chiesa di San Gregorio al Celio si apre e le vedi uscire. A due a due. Nel loro sari bianco bordato di azzurro, quello che era tradizionale per le donne che a Calcutta puliscono le strade, e una borsa a tracolla. Sono le Missionarie della Carità, l’ordine fondato nel 1950 da Madre Teresa. Così, tutte le mattine percorrono le vie della capitale per andare a trovare famiglie o persone indigenti, alcune si recano negli ospedali, altre alla stazione Termini ad aiutare quelle che normalmente vengono definite “persone senza fissa dimora”. A volte le si incontra ai crocicchi delle strade a parlare con chi chiede l’elemosina.

Sister da tutto il mondo
A San Gregorio accanto al convento, un ex pollaio donato nel 1974 dai Benedettini, c’è la casa di accoglienza. A Roma ce ne sono altre cinque, una proprio dentro le mura del Vaticano, voluta da Giovanni Paolo II. Al Celio trovano ospitalità 50 uomini. «Noi facciamo la proposta, ma sono loro a decidere di venire. Li laviamo, diamo da mangiare, da dormire, le cure mediche. Alcuni rimangono pochi giorni: se ne vanno, ma poi tornano. Altri sono qui da mesi, anni», spiega suor Maria Pia. Anzi sister Maria Pia, come si chiamano tra di loro.
Le suore provengono da tutto il mondo e Madre Teresa volle che la lingua ufficiale, anche nella recita delle preghiere e nella liturgia, fosse l’inglese. Spiega sister Maria Pia: «Dove è possibile cerchiamo di rintracciare i familiari o se sono clandestini di regolarizzarli. Molti sono alcolizzati, altri hanno problemi mentali». Dentro è tutto pulito, ordinato. Non c’è confusione, regna una pace fatta dei semplici gesti pieni di attenzione che le suore hanno verso ciascun ospite. Ognuno è come una perla, un tesoro: va accudito e amato. Un tesoro per chi? La stessa domanda era stata rivolta a Madre Teresa: «Quali motivazioni hanno le sue sorelle per fare tutto quello che fanno?». E lei semplicemente: «Amano Gesù. Trasformano in azioni viventi quell’amore. Servire i più poveri dei poveri non è la nostra vocazione, la nostra vocazione è appartenere a Cristo».

Ospiti mai soli
Gli ospiti non sono mai lasciati soli. «Quando alle 14 ci ritroviamo in cappella nel convento per la recita del Rosario e l’adorazione del Santissimo, con loro rimane una persona, che in caso di bisogno ci viene a chiamare. Mentre di notte, a turno, due suore si fermano a dormire per qualsiasi evenienza», spiega sister Elia. Elia: un nome maschile per una suora. Strano. «Perché? Ogni suora sceglie il nome da assumere. Una figura, una persona importante per la propria vita. Tra di noi, ad esempio, c’è sister Marc. Marco l’evangelista».
Sister Elia lavora all’ufficio della postulazione – Madre Teresa è stata beatificata da Giovanni Paolo II nel 2003 – all’ultimo piano della casa, raccoglie e archivia testimonianze e materiali vari in vista del processo di canonizzazione. L’aiuta Marino, un ospite della casa. «Loro hanno dato tanto a me e io in qualche modo cerco di ricambiare. Ne ho combinate di tutti i colori nella mia vita, ma da qui non voglio più andare via». Ognuno aiuta come può: chi spinge una carrozzina, chi porta i fiori alla statua della Madonna, chi a tavola versa l’acqua. Le suore non fanno discorsi, solo alcuni momenti di preghiera che scandiscono la giornata degli ospiti. Non stanno ferme un secondo, senza nessuna frenesia nel fare. Dalla tasca del sari spesso si vede spuntare la corona del Rosario. «In certi momenti non posso fare altro che ripetere meccanicamente l’Ave Maria», aveva scritto Madre Teresa.

La stanza di Madre Teresa
Ma al Celio non arrivano solo le “persone senza fissa dimora”. Ogni giorno molti volontari varcano la porta della casa per dare il proprio aiuto. Medici che offrono la loro opera gratuitamente, ma anche persone normali che si mettono a disposizione. Come una signora che nella stanza dei medicinali compila moduli per fornire l’assistenza pubblica a chi ne ha diritto. «È tanti anni che vengo, tutti i giorni. Non posso farne a meno», racconta. Ogni martedì nel cortile della casa c’è un via vai di rom. A loro le suore regalano vestiario. La domenica, invece, distribuiscono pacchi alimentari per le famiglie bisognose. I nuovi poveri, quelli che a fine mese non ci arrivano neanche con il mangiare. Ma chi li fornisce? «La Provvidenza», spiega tranquillamente sister Maria Pia. Cioè? «La gente ci conosce, sa della nostra opera e spontaneamente porta indumenti e altro. Tutto quello di cui abbiamo bisogno». Sempre? «Sempre. Un giorno un ragazzo bussa alla porta del convento. Chiede soldi per acquistare il biglietto del treno per tornare a casa. Noi normalmente non diamo denaro. Però mi sembrava davvero sincero e disperato. Non sapevo cosa fare. Poco dopo arriva una signora con una busta: “È per voi. Una donazione”. La apro: era la cifra esatta per il biglietto del treno. Ho accompagnato il ragazzo in stazione. Questo è solo uno dei tanti esempi». Le pareti di una stanzetta all’interno del convento è tappezzata di foto di bambini e sotto una frase di Madre Teresa: «Il bambino è l’espressione più bella e meravigliosa dell’amore di Dio al mondo». Sono i ritratti degli oltre 2mila bambini che attraverso le Missionarie sono stati adottati da famiglie italiane. L’unica clausola che le suore da sempre pongono è il matrimonio religioso. Tempo fa era giunta l’indicazione di togliere questo punto fermo. La convenzione era a rischio. Non ci hanno pensato nemmeno un momento: recedere, mai! L’hanno avuta vinta loro. Come sempre.
Quasi di fronte c’è la stanza dove Madre Teresa dormiva quando veniva a Roma: un letto, una piccola scrivania, il crocifisso. L’essenziale. Come era Madre Teresa? «Una di noi», risponde sister Maria Pia. «Ci accompagnava in giro per la città. Una volta, era già ammalata, pioveva a dirotto e lei per aiutarci teneva gli ombrelli in modo che noi avessimo le mani libere. Era così. Poche parole». Come loro.


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