Sostenibilità

Il fiume mai risorto

I 40 chilometri del Lambro fra Monza e Melegnano

di Pietro Vernizzi

«Il gasolio è rimasto attaccato alle sponde e ai sassi della riva, e appena
la secca fa scendere
il livello dell’acqua, quella coltre putrida rispunta fuori», racconta un anziano. Ma basta un po’ di attenzione per scorgere
ad occhio nudo i tanti scarichi abusivi ancora attivi
Ad oltre cinque mesi dall’onda nera che si è riversata nel Lambro il 23 febbraio scorso, il gasolio c’è ancora, depositato sul fondo e sulle sponde formando una crosta indurita. E gli sversamenti abusivi sono ripresi come prima, l’ultimo rilevato pochi giorni fa. Ma nei rari tratti dove è rispettato, il fiume riprende a vivere nonostante l’inquinamento. Costeggiare in bicicletta i 40 chilometri di Lambro tra Monza e Melegnano equivale a passare dal paradiso all’inferno per ritrovarsi infine in purgatorio. Un percorso niente affatto lineare, accomunato però in ogni punto da quella cicatrice indelebile sul letto del fiume. «L’onda nera è passata, ma il gasolio è rimasto attaccato alle sponde e ai sassi della riva, e appena la secca fa scendere il livello dell’acqua, quella coltre putrida rispunta fuori», racconta un anziano che da dieci anni coltiva un orto lungo il tratto più inquinato del Lambro, sotto il ponte di Cascina Gobba a Milano. Una situazione definitivamente compromessa, come documentano i rapporti ufficiali di Arpa Lombardia. «Ancora oggi nel fine settimana le industrie puliscono i serbatoi che contengono le sostanze inquinanti, vuotandole nel fiume nelle prime ore dell’alba. Per rendersene conto basta osservare la schiuma viscida che scende tutti i sabati e le domeniche prima delle 6 del mattino». Per non parlare degli scarichi abusivi rilevabili a occhio nudo lungo l’intero percorso e perfino nel Parco Lambro a Milano.

Un’oasi nel centro di Monza
Fatto singolare, nel punto in cui si è verificato il disastro di febbraio, dove sorge la Lombarda Petroli di Villasanta, il Lambro non si vede. Qui il fiume passa in un rettangolo delimitato su un lato dalla ferrovia e sugli altri tre dagli impianti industriali, al cui esterno campeggiano i sigilli e i cartelli della Procura. Poche centinaia di metri più sotto, in pieno centro di Monza, il Lambro perde completamente il suo aspetto sinistro. In via Vittorio Emanuele II, sotto il Ponte dei Leoni, un uomo sta camminando nel fiume a piedi nudi. Ogni tanto si ferma, si bagna i capelli con l’acqua corrente e poi riprende a passeggiare. Non a caso il capoluogo brianzolo, pur trovandosi a valle della Lombarda Petroli, è stato risparmiato dall’onda nera. Subito prima di entrare in città il fiume infatti si divide, dirottando gli scarichi fognari all’esterno dell’abitato, mentre quella che attraversa il centro è un’acqua così pulita che si possono vedere nuotare i branchi delle trote, disturbate appena dalla calura estiva.
Poco dopo il quartiere monzese di San Rocco, dove sorge il depuratore che scarica nel Lambro le fogne di tutta la Brianza, il paesaggio cambia bruscamente, annunciato da un tanfo maleodorante. «Amare senza sporcare», ammoniscono i murales all’inizio della carraia che costeggia il fiume: ma da questo momento in poi tutto ciò che si vedrà saranno solo sporcizia e incuria. Proprio dietro al depuratore corre la linea del metanodotto. Tutto intorno alle tubature l’erba sta bruciando per un incendio appiccato per fare piazza pulita delle sterpaglie. Solo per miracolo il combustibile non ha preso fuoco facendo saltare tutto per aria.

Degrado urbanistico
Non sempre l’inquinamento è provocato soltanto dalla distrazione. Affacciandosi sul ponte di Sesto San Giovanni ci si trova di fronte a un mix esplosivo di degrado urbanistico. Nell’arco di pochi metri, sulle sponde completamente cementificate del Lambro sorgono il termovalorizzatore Core, che smaltisce i rifiuti dei 216mila abitanti della zona, cave di sabbia e fabbriche. Carlo Danzo, 84 anni, sagrestano di San Maurizio, ricorda di essersi tuffato da questo ponte per fare il bagno. Oggi però le acque oleose di questo tratto di fiume non contengono nulla di vivo. Accanto alle scorie scaricate dalle industrie, sulle rive del Lambro finiscono anche le persone “rifiutate” dalla società. Emblematico il caso di Pasquale, un italiano di mezza età la cui unica casa è un pezzo di lamiera all’imbocco di via Rizzoli, sul tratto più nauseabondo del fiume. «I servizi sociali del Comune hanno respinto tutte le mie richieste di aiuto, mentre l’Asl mi ha risposto che se non mi faccio ricoverare non ho diritto ad essere curato. Gli unici che mi hanno dato una mano sono i volontari delle associazioni che mi offrono un pasto», rivela Pasquale.
Dopo via Rizzoli il Lambro inizia un percorso di lenta rinascita, come un tossicodipendente che cerca di liberarsi dalle sostanze che lo avvelenano. Non a caso una parte del fiume si stacca dal corso principale e attraversa la cascina del Parco Lambro che da 25 anni è la sede della Fondazione Exodus di don Mazzi.
A risanare il corso d’acqua sono soprattutto le oasi del WWF di Melegnano e San Donato. Come spiega Andrea Agapito, responsabile del Programma acque di WWF Italia, «i nostri progetti sono la dimostrazione del fatto che per risolvere le situazioni di degrado bastano pochi soldi, oltre all’impegno di alcuni volontari».

Rinnovare l’ecosistema
Gli effetti benefici si comprendono visitando l’oasi WWF di Melegnano. «Grazie al ripopolamento degli alberi tipici della pianura lombarda», sottolinea la responsabile Erminia Mandarini, «abbiamo rinforzato le sponde del Lambro evitando gli smottamenti. E insieme favorito il ritorno di animali scomparsi come il picchio rosso, il martin pescatore, le gallinelle d’acqua e i germani reali. D’inverno di qui passano sempre i cormorani: speriamo che tornino anche l’anno prossimo, perché sarebbe un segno del fatto che l’ecosistema è riuscito a reagire al disastro». Anche il Parco Valle Lambro è in prima linea per promuovere la rinascita del corso d’acqua. Come osserva il presidente, Emiliano Ronzoni, «sono certo che, manovra permettendo, entro il 2015 potremo centrare tutti gli obiettivi ambientali fissati dall’Ue. La mia proposta è di lasciare da parte progetti faraonici, puntando sulla costruzione di golene laterali per sostenere la capacità del fiume di autodepurarsi».


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