Formazione

il sipario sulle vele di napoli

viaggio nel quartiere simbolo del potere della camorra

di Redazione

Negli ultimi dodici mesi si sono spenti i riflettori su Scampia. Un black out che costerà caro a chi aveva puntato sulla rinascita.
Fra le “vittime” il campione di judo Pino Maddaloni
e il prete anti camorra
don Aniello Manganiello
Viste dall’alto, le periferie si assomigliano tutte. Ma per Scampia è diverso, forse perché più che un’estremità, sembra il centro di un mondo a parte. Abbandonato da Dio, popolato da altri uomini. Scampia è il frutto di un disegno perverso che a partire dagli anni 70 e per il ventennio successivo ha deciso di trasformare una vasta zona a nord di Napoli in una branca dell’inferno per i senzatetto e gli sfollati del terremoto. L’architetto Franz Di Salvo con i fondi della legge 167 del 62, attraverso la Cassa del Mezzogiorno, progettò le sette Vele senza mare più famose del mondo: quel complesso di edifici fatto apposta per stiparci dentro i derelitti, e favorire l’abbrutimento umano in virtù di una supposta efficienza urbanistica, che fu occupato ancora prima di essere completato, abbattuto in parte senza mai essere sostituito, e che è da sempre il logo lugubre di un quartiere senza gioia apparente. Secondo stime non ufficiali, qui vivono circa 80mila persone (la metà per gli ultimi dati certi del censimento, risalenti però al 2001), ci sono ancora due campi rom che contano tra i 1.500 e i 1.600 abitanti (più volte in forte tensione con gli altri cittadini, che nel 99 appiccarono il fuoco agli insediamenti non autorizzati), c’è uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Italia (stimato tra il 50 e il 75% della popolazione attiva) e il primato della più grande piazza a cielo aperto dello spaccio di droga in Europa.

L’appello della Ebadi
Il Comune vi ha costruito un’area Telematica abbandonata al degrado, e un piazzale per i Grandi eventi dove gli unici a fare festa sono i tossicodipendenti con le loro siringhe. Scampia rimane la fiera delle occasioni perse. Vi si voleva realizzare la nuova facoltà di Medicina dell’Università Federico II di Napoli, ma una delle ultime notizie di fine luglio è stata quella che non che non si farà perché, ovviamente, mancano i fondi.
Nel 2008 si calcolò che nel quartiere vive la più alta concentrazione di giovani, stimata attorno al 64% dell’intera popolazione napoletana. Sono loro la vera risorsa di Scampia: ai giovani si rivolgeva Felice Pignataro, l’artista (scomparso nel 2004) che con i suoi murales colorava gli edifici del quartiere, stimolando i ragazzi a usare l’arte come alternativa al disagio e alla devianza. Oggi il Gridas, il “Gruppo di risveglio dal sonno” da lui fondato (che organizza un cineforum gratuito settimanale e un carnevale di quartiere, giunto quest’anno alla 28esima edizione), rischia di chiudere perché sfrattato dallo Iacp, l’istituto delle case popolari. Come la palestra del campione di judo Pino Maddaloni, che allena gratuitamente centinaia di ragazzi, togliendoli dalla strada: anche per lui non ci sono fondi.
Se si guarda alla Scampia di un anno fa, nulla appare cambiato se non in peggio. Anche la Chiesa sembra abbandonare il territorio, trasferendo altrove il prete anti camorra don Aniello Manganiello, punto di riferimento per molti giovani e per la maggior parte delle realtà associative che si muovono a Scampia. Eppure da qui l’anno scorso, in occasione del meeting nazionale dell’Unicef, l’iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003, lanciò un appello per la pace alle potenze mondiali che si sarebbero di lì a poco incontrate al G8: una scelta per richiamare l’attenzione sul territorio e sui suoi abitanti, soprattutto i più piccoli, ma che si è risolta in un ossimoro sociale, perché Scampia è uno dei luoghi sulla terra dove pace è una parola cancellata dal vocabolario.

Grande fermento
«Da questo punto di vista da un anno a questa parte non è cambiato nulla: degrado urbano e criminalità sono gli stessi di sempre», dice Vincenzo Ferrara, presidente della Fondazione Cannavaro Ferrara, impegnata sul quartiere soprattutto con progetti per i bambini e i ragazzi, che l’anno scorso ha reso di nuovo agibile il vecchio centro sportivo, e che organizza corsi di formazione professionale, attività di sostegno scolastico pomeridiano e di job placement, coinvolgendo circa mille ragazzi in colloqui e incontri per opportunità di lavoro.
«Ad alcuni di loro siamo riusciti a dare reali opportunità di lavoro, mentre nel centro sportivo ristrutturato i ragazzi da un centinaio sono diventati cinquecento. Per fortuna non è cambiata neanche l’umanità straordinaria che ho avuto modo di conoscere, l’affetto della gente, il calore degli abitanti di questo quartiere dove c’è un grande fermento sociale, e una voglia di cambiamento che riscontro in molti. La trasformazione reale, tuttavia, non so se sia possibile realizzarla, perché manca una rivoluzione culturale che trasformi radicalmente lo scenario attuale».

La piazza simbolo
Dello stesso avviso è anche Vincenzo Vanacore, presidente della cooperativa sociale L’uomo e il legno, da circa dieci anni impegnata a realizzare attività ludiche e di doposcuola, oltre che a insegnare un mestiere artigianale – con la falegnameria – a tanti ragazzi inviati dai servizi sociali e dal tribunale dei minorenni. «Grandi occasioni come quella del premio Nobel sono sempre una cosa positiva», dice Vanacore, «ma sono convinto che quello che manca sul territorio è un lavoro continuo, sinergico e quotidiano. Anche la piazza dei Grandi eventi è rimasta un puro simbolo e oggi è un grande spazio desolato e deserto. Servirebbero invece tante grandi piazze ma vive, e una presa di coscienza che metta in moto un meccanismo di compressione dal basso verso l’alto: quando ci sono i grandi progetti, dovremmo essere capaci di metterci in rete e realizzare cose a lungo termine, con reali ricadute sul territorio».
«Il principale problema», conclude Vanacore, «è indirizzare i giovani a una cultura del lavoro, prima ancora che al lavoro vero e proprio, perché è in questo campo che la camorra vede e provvede. Forse tra altri dieci anni, con un’attenzione maggiore a questi temi, con pratiche continue di sostegno alla genitorialità, di lotta alla dispersione scolastica, di orientamento dei ragazzi e miglioramento della formazione professionale, qualcosa potrà cambiare».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA