Cultura

Crisi di panico a Fiat City

di Maurizio Regosa

Come si vive in cassa integrazione con 750 euro
al mese e una famiglia sulle spalle? Molti si rivolgono agli usurai. Come dimostra l’aumento del 30% degli operai in mano al racket. Altri arrotondano con
il lavoro nero. Senza però rinunciare alla qualità della vita. Che qui significa una
tv da 42 pollici o una moto
di grossa cilindrata
I riflettori si sono davvero accesi, sugli operai di Pomigliano d’Arco, il giorno del referendum. Quando i risultati erano definitivi, le cineprese si sono spostate altrove. A Roma per la politica. A Milano per la finanza. A Torino per la Fiat. Da queste città hanno cominciato a far rimbalzare parole che forse dicono troppo poco. NewCo. Cultura del lavoro. Garanzia di produttività. Ma come si viva in cassa integrazione con 750 euro, quali siano le strategia di “sopravvivenza” e quale lo stato d’animo dei lavoratori non è rilevabile da una consultazione, svoltasi nell’incertezza di un «dopo Cristo», come l’ad Fiat, Sergio Marchionne definisce l’era prossima ventura di nuove e, secondo lui, più corrette relazioni tra sindacati e impresa. Anche per conseguire questo obiettivo, però, i conti – più che con le associazioni di rappresentanza – è forse meglio farli con gli operai. Che non sono più quelli. Per rendersene conto, basta andare a Pomigliano e incontrarli. E capire che il granitico Cipputi non abita più qui: ha lasciato il posto a un operaio che non ti aspetti, che ha differenti pensieri e desideri, contraddizioni ed ansie (quelle che hanno spinto gli intervistati a chiedere di non essere citati con il loro vero nome).

La fabbrica è moltissimo
Anche l’aziendalista è cambiato. Questo tipo di operaio, che c’è sempre stato, oggi parla un linguaggio nuovo e i suoi argomenti hanno un sapore per dir così «macroeconomico». Roberto, ad esempio, richiama la globalizzazione e sottolinea «la responsabilità degli operai. Mentre tutti investono altrove, la Fiat sceglie di impegnare 700 milioni. A noi non deluderla».
Sposato, una moglie impiegata e una figlia di pochi mesi, Roberto è un team leader. Oggi coordina il lavoro di altri, ma non si è dimenticato della lunga gavetta e del tempo in cui non riceveva risposte dai capi: «Cerco di essere presente, di creare un rapporto non solo professionale, ma anche umano. In modo che insieme si trovino le soluzioni ai problemi che si presentano». Mentre scandisce queste parole, da una parete del suo salotto i 42 pollici di una piattissima tv rilanciano: «Italia Unoooo»; in bagno fa bella mostra una Jacuzzi. Quanto al futuro, «non vedo l’ora di tornare in fabbrica e di costruire la Panda», dice dopo aver ammesso che è «molto felice di potersi occupare della bambina». Si capisce che è sincero, ma pure che per lui «faticare» è importante. La fabbrica se non è tutto, è moltissimo. E con la Cig, una figlia e un mutuo da 930 euro al mese, è dura.

L’operaio «multi-tasking»
Lo chiamiamo così per sottolineare il dinamismo di chi non si lascia annichilire dalla Cig. Certo può aver problemi ad arrivare a fine mese. Ma – ed è quello che soprattutto lo distingue – il «multitasking» non si scoraggia e si dedica davvero a mille cose. Andrea è operaio, delegato sindacale ma fa anche volontariato. Da anni, assieme a sua moglie, si occupa di commercio equo e solidale. Ha contribuito a mettere in piedi l’associazione e poi ha lavorato perché fosse inserita in una rete. È, insomma, un uomo con i piedi per terra. Nei periodi di magra, ha svolto un secondo lavoro. «Da giovane, aiutavo mio padre che nella sua seconda attività era fotografo. Facevamo i matrimoni, le cerimonie. Poi sono stato assunto». Quando è arrivata la cassa, ha fatto il docente per l’associazione (per conto della Provincia, tutto regolare). «L’obiettivo era di promuovere il volontariato nelle scuole. Infine mia moglie è stata assunta a tempo indeterminato e ho smesso. Ne andava della nostra relazione. Troppi impegni».
Ed è qui che balza agli occhi la novità forse più evidente. Rispetto all’aziendalista, da cui lo separano appena tre anni, con il trentenne Andrea sono entrati in reparto la consapevolezza che serve una qualità alla vita e l’impegno per perseguirla, assieme a una gran quantità di interessi. Lo studio – Andrea è laureato – e qualche viaggio.

Umiliati e offesi
Andrea e sua moglie non hanno figli. Chi ne ha fatalmente vive peggio. La Cig è superiore, ma dire che basti… Anche per questo qualcuno si fa prestare dei soldi. Da chi è abbastanza ovvio. «Negli ultimi mesi abbiamo constatato un balzo del 30% di casi di operai in mano all’usura», spiega Salvatore Cantone dell’Associazione anti racket di Pomigliano. Ma chi è strozzato dagli interessi «è difficile che lo ammetta». «Durante uno sciopero», racconta un testimone, «un lavoratore ha dato in escandescenze. Fuori di sé urlava: “non ce la faccio più”». È capitato che alcuni operai abbiano fatto una colletta per un collega allo stremo. Ma è raro si sappia. Gli usurai lavorano nell’ombra. Come la camorra, sempre pronta a dare una mano. «Qui la crisi economica è subito crisi sociale», dice don Aniello Tortora. Per questo il parroco sta con gli operai. Ha pubblicato una Lettera a Marchionne. «Non ci si comporta così», ha scritto riferendosi a un incontro cui l’ad non è intervenuto. Poi gli ha ricordato le parole della Centesimus Annus di Giovanni Paolo II: «Il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine e insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità».

Resistere, resistere…
Proprio di dignità parla Giovanna, 30enne operaia come il marito (hanno un bimbo di 2 anni): «Mangiamo da mia mamma», racconta. «Volevamo un secondo figlio, ma aspettiamo». Già ora le due Cig sono assorbite dal mutuo per la casa (1.100 euro mensili), dalle bollette e dal “costo” del bambino («65 euro a settimana»: ne ricevono 30 mensili di assegno). Fatti i conti, non resta quasi nulla. Per fortuna un tetto c’è. Ed è anche molto accogliente.
«Le porte le ha fatte mio marito», spiega orgogliosa; è il suo modo per dire che lui sbarca il lunario con lavori di falegnameria («Gli danno 50 euro al giorno»). Lo fa per la famiglia, ma è evidente il disagio di quest’uomo. Aveva accettato l’incontro. All’ultimo ha inventato una scusa per non esserci e, nel corso dell’intervista, è rientrato in casa di soppiatto, ha preso le chiavi dell’auto ed è sgattaiolato via. Ha paura di esporsi. Non si può lavorare quando si è in cassa. È illegale, ma diffuso. Tabù e contraddizioni, pur di «faticare».

Vivere low cost
«Vado al discount» premette Giuseppe, 43enne con 3 figli e moglie casalinga. Vive in una casa di proprietà nella Napoli bene. Parla di «workfare». Cita il sostegno dei suoceri («danno la paghetta ai miei ragazzi adolescenti, ma con discrezione») e quello dei compagni di scuola («ci prestano i libri»). Omette le sue seconde attività e spiega la sua strategia. Fa («gratuitamente») l’amministratore del suo condominio («facendo spendere meno, risparmio») e poi insegue i prezzi più favorevoli. È lui a cucinare. Prima la sua passione gastronomica lo portava a spese pazze. Oggi ripiega sui discount, «stando attento», spiega, «a mantenere un corretto equilibrio alimentare per i figli», cui prepara magari “semplici” spaghetti aglio-olio ma «con colatura di alici di Amalfi…». Gli brillano gli occhi quando descrive quel che cucina. È lo stesso luccicore di quando cita Marco Revelli: gli ha autografato un libro scrivendo che lui è «il vero controcanto della Fiat». Sono cambiati gli operai, si diceva, eppure…

Mi piace «faticare»
Sopravvivere si deve. E non da oggi gli operai rimpinguano il magro stipendio con secondi lavori. Sempre più di rado, però, queste attività si trasformano in un progetto di vita. Forse anche a causa di una soluzione, la Cig, che andrebbe ripensata per evitarne gli effetti perversi. Visibili del resto anche altrove: nelle valli bergamasche cinque anni di cassa hanno abituato i tessili ad occultare redditi in nero e a storcere il naso di fronte a proposte formative (sottrarrebbero tempo agli impieghi non dichiarati…). Quelli della Fiat fanno lavori probabili (tappezziere, elettricista) e improbabili (chi lava i morti, chi cerca cinesi cui affittare un sottoscala). Alcuni hanno specializzazioni interessanti. Altri gestiscono un’attività per interposta persona. «Ho un collega», spiega un operaio, «che ha un negozio intestato alla moglie».
Prove tecniche di capitalismo personale, direbbe Aldo Bonomi. Ma incerto assai, e traballante. Tant’è che pochissimi lasciano l’azienda. C’è chi lo teorizza: «La sera devo pur mettere la testa sul cuscino. E il cuscino è la Fiat». Tradotto, significa che con la fabbrica si pagano i contributi per il futuro. Con il nero, si vive meglio l’oggi. Si compra la tv a 42 pollici. Ci si fa l’Honda… Oggetti di un desiderio non più oscuro né negato. Paradossalmente più a portata di mano grazie alla Cig.


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