Famiglia

Se alle donne serve un’agenzia Onu, cosa non ha funzionato?

di Redazione

Dopo mesi di discussioni e trattative, il 2 luglio l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione che darà vita a UN Women, la nuova agenzia Onu dedicata alla promozione dei diritti delle donne e all’uguaglianza di genere. La notizia non ha suscitato particolari reazioni o commenti, neppure da parte del dipartimento delle Pari opportunità o dal ministero degli Affari esteri; solo qualche ripresa su siti internet per addette ai lavori.
La nuova struttura – operativa dal gennaio 2011 – sarà guidata da un vicesegretario generale delle Nazioni Unite e racchiuderà in sé quattro entità, fino ad oggi operanti in maniera separata: il Fondo di sviluppo per le donne (Unifem), la Divisione per l’emancipazione delle donne (Daw), l’Istituto di ricerca e formazione internazionale per l’emancipazione delle donne (Instraw), l’Ufficio del consigliere speciale del segretario generale Onu sulle tematiche di genere (Osagi). La presenza di queste nomenclature bizantine e delle inevitabili sovrapposizioni di agende e competenze tra questi organi fa dubitare che fino ad oggi i diritti delle donne siano stati promossi all’interno delle Nazioni Unite in maniera efficiente ed efficace. Una buona iniziativa dunque? Pur nel carico di stanchezza, lentezza e sfiducia che l’immaginario comune ha delle organizzazioni internazionali, dovremmo dire di sì. La pensano così almeno trecento associazioni che nel mondo hanno seguito – con la caparbietà e la costanza silenziosa tipica delle organizzazioni femminili – il farraginoso processo che, vincendo resistenze di Stati membri e lungaggini di apparato, ha portato all’istituzione di UN Women. La rete della società civile che si è costituita per sostenere la formazione della nuova agenzia – Gender Equality Architecture Reform Campaign – non si è risparmiata in lettere, comunicati, raccolte di firme, nella convinzione che questo cambiamento sia importante e che l’inefficacia di una o più istituzioni a scapito della vita delle donne vada (ancora) contrastata.
Eppure rimane l’impressione di tornare indietro nel tempo: ancora, nel 2010, serve un’agenzia “per le donne” ancora “specie” da proteggere, promuovere, accompagnare? Dov’è finita la promessa del gender mainstreaming degli anni 90, che avrebbe dovuto includere una prospettiva di genere a qualunque politica, legge, programma? Cosa non ha funzionato?


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