Economia

L’oro della Bolivia

Boom di prezzo e domanda dell'alimento ideale per vegetariani e celiaci

di Daniele Biella

Grano degli Inca. Cibo degli dei. E adesso ‘oro della Bolivia’. Sono questi i tre modi per chiamare la quinoa, un alimento millenario che sta diventando sempre più di moda in Europa e che potrebbe dare un forte scossone all’economia del paese più povero dell’America latina, dove il 54% (secondo dati Onu del 2010) vive sotto la soglia dell’indigenza.

Se sui primi due soprannomi si potrebbe fantasticare per ore (per l’antica civiltà incaica la quinoa era la chisiya mama, la ‘madre di tutti i semi’, che sembra si arrivata direttamente dal cielo, dove le divinità la adoravano), il terzo è oggi una realtà che sta sparigliando le carte dell’agricoltura mondiale: se nel 1999 veniva venduta a 862 dollari alla tonnellata, oggi non si scende sotto i 2.500, per arrivare ai 3mila della quinoa real, ovvero il triplo in un solo decennio. Prezzi altissimi (da qui il riferimento al metallo più prezioso) se confrontati con quelli della soia, i cui semi sono i più coltivati ma la cui quotazione è ferma a 350 dollari a tonnellata. Cifre che potrebbero rivoluzionare le entrate dello stato boliviano, il cui presidente, l’indio Evo Morales, ha sempre dichiarato di essere dalla parte dei campesinos, i contadini.

Ciò che frena l’entusiasmo per un possibile boom dell’economia boliviana, però, sono almeno due problemi: uno di natura territoriale, l’altro legato, come spesso accade, alle pratiche scorrette attorno all’import-export e ai diritti sul cibo. La prima questione da risolvere è quella legata allo spazio da destinare alle coltivazioni di quinoa: a fine 2008, secondo dati governativi, erano 51.382 gli ettari coltivati a quinoa, che rendevano 23.654 tonnellate. Poche, secondo gli esperti: basti pensare che le coltivazioni di soia raggiungono, nel solo paese andino, il milione di ettari. Ma è il secondo problema a rappresentare uno scenario che, senza inversioni di tendenza, potrebbe lasciare con l’amaro in bocca i boliviani: il mercato nero. Sventato il rischio di ‘usurpazione’ del seme (nel 1994 la Colorado State University arrivò a brevettare la quinoa, ma le proteste internazionali la fecero desistere), oggi la situazione è esplosiva: tolte le tonnellate destinate al mercato interno di quelle totali prodotte (che sono 4.350 su 23.654), quasi il 50% della parte restante è uscita illegalmente dal paese, principalmente tramite il Perù: 9.015 tonnellate, a fronte di un export legale di 10.300. Troppo.

E pensare che la domanda mondiale di quinoa è in forte crescita, essendo un alimento molto in voga nelle diete vegetariane (con un ottimo bilanciamento tra carboidrati, proteine e minerali) e, non contenendo glutine, commestibile da parte delle persone affette da celiachia. Oggi, fa sapere l’Istituto boliviano di commercio estero, il grano incaico è stabile nel menù dei 50 ristoranti vegetariani più apprezzati di Europa e Stati Uniti, anche in virtù della sua versatilità: la zuppa è il leit motiv, ma la quinoa può essere abbinata a molti altri alimenti, sia dolci che salati. Il commercio equo e solidale l’ha capito da tempo, è fra i propri prodotti quest’alimento ‘pregiato’ non manca mai.

Destinare maggiore terra alla coltivazione di quinoa e implementare la sua lavorazione, smettendo così di esportare solo la materia prima: queste le sfide, secondo le associazioni e le ong boliviane in campo agroalimentare, per l’immediato futuro. Per la Bolivia è un’occasione da non perdere.

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