Provate ad immaginare un governo di centrosinistra che imponga la lettura quotidiana della Bibbia nelle scuole pubbliche, e che motivi il provvedimento come un efficace antidoto educativo alla violenza giovanile. Fantapolitica. Ma provate ancora a immaginare una conferenza episcopale che scenda in campo contro il decreto pro Bibbia chiedendo al Capo dello Stato di non firmare il provvedimento. Fantareligione.
Ebbene tutto ciò è successo, realmente ed esattamente in questi termini. Non in Italia, ovvio, ma nella repubblica centroamericana del Salvador. Il governo di sinistra del presidente Mauricio Funes (leader del Fronte Farabundo Martì, ex guerriglia filo marxista a tempi della guerra civile) ha deciso di affrontare con forza la piaga delle maras, le gang giovanili che arrivano ad uccidere i propri rivali. Cosciente che la repressione da sola non basta, il governo ha pensato ad una qualche iniziativa simbolica sul piano educativo. Di qui l’idea di introdurre nelle scuole, sette minuti prima delle lezioni, la lettura obbligatoria del Libro sacro. Per un curioso gioco a parti rovesciate (rispetto all’Europa), sono stati proprio i vescovi a contrastare il decreto in nome del principio di laicità. Chiedendo al presidente Funes di porre il veto.
L’iniziativa nasce da sane e “buone intenzioni”, hanno riconosciuto i vescovi salvadoregni. Ma dovendo applicarsi «in ambienti in cui non sempre si vive un adeguato clima di fede e senza che dopo la lettura dei brani biblici si possano fornire le dovute e necessarie spiegazioni», risulterebbe “controproducente” e non aiuterebbe a rafforzare quei valori che si desiderano promuovere.
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