Non profit

Calma piatta

Quello che era il cantiere più grande d'Europa oggi è una città immobile. Reportage dall'Abruzzo

di Lorenzo Alvaro

L’AQUILA – È rimasto tutto com’era, nonostante cambiamenti evidenti. Dalla scossa del 6 aprile 2009 sono tornato più volte a L’Aquila. Il caldo torrido appena sceso dall’auto fa tornare alla mente i campi, il calore insopportabile delle tende, la polvere che copriva ogni cosa. (Anche allora mi ero chiesto perchè di questa città si dice che faccia 11 mesi di gelo e 1 di freddo). Ecco il primo cambiamento sta proprio in questo. Da qualche mese quei villaggi di fortuna sono sostituiti dal progetto C.a.s.e. Soluzioni più solide e comode ma che ricalcano gli stessi problemi. Niente è diverso da prima. Isolamento sociale, lontananza da casa, mancanza delle propria identità e della propria autonomia.

Per l’ennesima volta appena posteggiato a fianco del S. Michele, l’unico albergo del centro funzionante (ristrutturato in tempi record per il G8) che ha le spalle poggiate sulle case disabitate della zona rossa, ho visto la camionetta dei militari. Giorno e notte vigila, in estate (con l’aria condizionata accesa 24 ore su 24) e in inverno (col motore acceso 24 ore su 24) monitora i passanti. Sono passati quasi due anni. Per la prima volta mi chiedo se non sarebbe stato meglio spendere quei soldi per qualcosa di più utile di un posto di blocco. Già i soldi. Non si parla d’altro. Chi non ha il lavoro, chi ha la preoccupazione di dover tornare a pagare mutui e tasse, chi ha l’albergo ancora ( e probabilmente fino a dicembre) pieno di terremotati e chi aspetta i fondi promessi dal governo. La principale preoccupazione qui sono i conti in banca.

Forse per la velocità con cui è stata affrontata la prima emergenza e il problema abitativo, oggi mi sembra tutto immobile. Mi ero abituato a vedere cantieri al lavoro, impalcature crescere a vista d’occhio e palazzi spuntare come fughi. Il fatto è che siamo ancora a quel punto: gli uffici pubblici sono ancora divisi in varie strutture. La maggior parte ospitati sempre dalla Guardia di Finanza di Coppito. Tanti sportelli sono nei container e quasi tutte le strutture nuove sono temporanee.

Le vie del centro, quelle principali, sono state riaperte. Si può, prendendo Corso Federico II, arrivare a Piazza del Duomo, da lì, percorrendo Corso Vittorio Emanuele raggiungere Piazza Fontana luminosa. Ci sono anche le prime attività che hanno ripreso e si affacciano dai palazzi imbacuccati nelle gabbie di legno e ferro che li tengono in piedi. “Bar Nero Caffè”, “Ristorante Il Guastatore”, la gelateria “Florida”. C’è vita per essere la città fantasma dei titoli dei giornali. Il morale però è basso. All’ingresso del corso si viene accolti da una frase di I. Silone datata 1903: “se l’umanità dovrà crepare non sarà per un terremoto ma per un post-terremoto”. Non è certo il massimo dell’allegria. Di fronte alla gioielleria “Armeni”, il primo negozio che si incontra e che fa coppia con la “Pizzeria Gran Sasso”, ci sono un tavolino e alcune sedie. Gente seduta. Parlano. Alla domanda “come vanno le cose?” la risposta è immediata: “male”. Niente clienti, niente incassi. E poi una frase che chiude il discorso senza complimenti. “Finché c’era uno che comandava le cose funzionavano perché tutti ubbidivano. Ora che non c’è un leader non si fa nulla. E Cialente con Chiodi non sono all’altezza”.

Insomma quello che era il cantiere più grande d’Europa oggi è fermo, cristallizzato alla fine dei lavori per le new town.
Passeggiando mi rendo conto che siamo in tanti. Si ci sono dei turisti “da disastro”. Qualche francese, qualche tedesco. Spesso mi scambiano per uno di loro. Occhiatacce e borbottii si sprecano. Li capisco. La maggior parte dei passanti però è aquilana. Ad un certo punto mi decido avvicino un ragazzo sulla trentina e glielo chiedo «ma perché venite tutti qui?». Dino, si presenta, risponde di getto «lo so, sembra assurdo. Venire a fare lo struscio tra le macerie non è una cosa normale. Ma non ce la facciamo a stare lontani da qui. Sono le nostre strade e le nostre case»

Lo dice con lo sguardo triste. È rassegnato.

Ecco un’altra novità. La rassegnazione. È ovunque. Fino all’ultima mia visita, nonostante le difficoltà, gli aquilani facevano fatica a metabolizzare quello che era successo ma pensavano positivo. C’era fermento. Da quando Guido Bertolaso se n’è andato tutto si è come sopito. La partenza della Protezione Civile lì ha fatti sentire abbandonati. Certo ci sono le manifestazioni, si leggono striscioni contro Berlusconi. Ma in realtà la gente sembra aver tirato i remi in barca. Si legge in giro la certezza che la città non tornerà mai più.

L’unica possibilità è ricominciare dai piccoli embrioni di nuova vita che si trovano qua e là. La Casa del Volontariato del CSV, pronta verso dicembre. I negozianti del centro. La voglia di normalità dei giovani. Speriamo che basti per risvegliare un popolo che si è seduto e una città che sta dormendo.


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