Fra i libri meno noti, ma più intensi di Tolstoj, figura senza dubbio Chadzi-Murat. Scritto fra il 1896 e il 1902, tradotto ora dalle edizioni Voland per la cura di Paolo Nori, Chadzi-Murat (pp. 208, euro 10) è un affresco di attualità disarmante sulla natura della guerra e del male, oltre che un documento storicamente interessante per comprendere le radici, nel Caucaso, del conflitto fra russi e ceceni e tra musulmani e “infedeli”.
L’altro lato della guerra: la morte, le ferite dei soldati, degli ufficiali, dei montanari, per quanto possa sembrare strano, non si presentava alla sua immaginazione. Egli, inconsciamente, per conservare la propria raffigurazione poetica della guerra, a volte non guardava neanche i morti e i feriti. Era passato vicino a un cadavere, steso sulla schiena, e solo con un occhio aveva visto la strana posizione della mano cerea e una macchia rosso scura in testa e non si era messo a guardare meglio. I montanari se li immaginava solo come ottimi cavalieri dai quali bisognava difendersi.(?) Ma di fronte agli abitanti del villaggio stava una scelta: restare in quei posti e ricostruire con terribili sforzi quel che era stato costruito con altrettanti sforzi e distrutto così facilmente e in modo così assurdo, aspettando ogni momento la ripetizione di quel giorno, o, contro la legge religiosa e il sentimento di disgusto e di disprezzo per i russi, sottomettersi a loro. Gli anziani pregarono e all’unanimità decisero di mandare a Samil un ambasciatore chiedendo il suo aiuto, e si misero subito a ricostruire quel che era stato distrutto.
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