Non profit

Ma oggi sono troppo simili agli alberghi

di Marina Moioli

Tutto esaurito nei rifugi alpini: l’estate 2010 si annuncia come estate boom. Prezzi accessibili, offerta di qualità, grande cultura ambientale la ricetta del successo Dimenticatevi i disagi di un tempo e i locali spartani. Niente più cuccette militaresche e coperte ruvide e marroni, con stampigliata sopra la scritta “rifugio”; basta tavolacci rustici da dividere con altri avventurosi alpinisti. Oggi vi spettano letti comodi, docce calde, cucina e menù degni di un qualsiasi ristorante tipico. Del rifugio alpino tradizionale sono rimasti solo il posto letto, le tariffe popolari, il menù obbligato e la fatica per salire (a piedi) in quota, media o alta che sia. Per il resto tutto è cambiato: via i vecchi generatori a gasolio rumorosi e puzzolenti, sostituiti da pannelli fotovoltaici sul tetto o da vere e proprie centrali idroelettriche in miniatura. Oggi invece dei decrepiti wc, magari pericolosamente affacciati sul vuoto, ci sono nuovissimi microdepuratori e al posto dei vecchi telefoni con le linee che si interrompevano al primo temporale estivo sono arrivati i ripetitori privati per i cellulari e persino le reti wi-fi per navigare su internet.
Il più avveniristico è la Capanna Monte Rosa sopra Zermatt in Svizzera: una struttura in alluminio, vetro e legno quasi completamente autosufficiente, inaugurata a marzo scorso. L’acqua che esce dal rubinetto è neve sciolta, l’energia elettrica viene prodotta da pannelli solari e la temperatura della sala da pranzo è controllata da un computer collegato con l’università di Zurigo, dove studiano il rifugio per progettare le case del futuro. Anche l’Italia ha il suo fiore all’occhiello: è il rifugio Caduti dell’Adamello, dove si sperimenta una centrale che usa idrogeno per accumulare l’energia. Qua e là per raggiungere il sogno dell’autosufficienza energetica si studiano mini centrali idroelettriche che possono alimentare un rifugio; a patto che ci sia acqua, cosa non scontata ad esempio tra le rocce dolomitiche. In Trentino a rompere il ghiaccio sono stati nel 2008 il Rifugio Segantini e il Vioz-Mantova, rispettivamente ai piedi di Presanella e Cevedale. Non sono mancate anche le fughe in avanti. Come la Capsula, progettata da un celebre design, “navicella spaziale” con vista panoramica a 360 gradi e un diametro di otto metri, destinata al Piz la Ila, in Alta Badia. «Un “uovo-cattedrale”, costruito solo per impressionare», commenta Luigi Casanova, vicepresidente di Cipra, Commissione internazionale per la protezione delle Alpi.

Cambiano i clienti
Con un occhio alle nuove tecnologie e uno all’ambiente, nei nuovi rifugi però sono cambiati anche i clienti: sempre più numerosi, sempre più esigenti e sempre meno alpinisti. Conferma Umberto Martini, neo presidente del Club Alpino Italiano: «La frequentazione dei rifugi negli ultimi anni si è sempre più allargata: non ci sono solo gli alpinisti, ma anche tanti escursionisti per i quali il rifugio è punto di arrivo, non più di partenza per conquistare questa o quella vetta».
Quella dei rifugi è una storia lunga più di un secolo. Il più antico, costruito dai tedeschi nel 1897, è il Vajolet: 120 posti letto nel cuore del Catinaccio in Val di Fassa al centro di una conca da Paradiso.


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