Politica

Parchi, natura ad alto rendimento

I conti in tasca alle aree protette, finite nel mirino di Tremonti

di Silvano Rubino

Allo Stato costano 50 milioni all’anno. Ma sono in grado
di mettere in moto un giro d’affari di oltre 1 miliardo, con 80mila occupati e 35 milioni di turistiDa un lato la Strategia italiana sulla biodiversità, appena varata dal ministero dell’Ambiente, che li definisce «strumento fondamentale e irrinunciabile per la conservazione». Dall’altro la manovra in fase di approvazione dal Parlamento, che nella fase originaria li privava del 50% delle risorse economiche. Oscilla tra questi due estremi l’atteggiamento di chi governa il Paese nei confronti dei parchi nazionali e delle aree protette. Santuari della conservazione, certo, ma onerosi per le casse dello Stato, fonti di spesa, su cui in tempi di crisi è necessario intervenire. Non si sente parlare mai (o quasi) dei parchi come risorse, come importanti volani economici, come motori di economie sostenibili. Eppure… «Eppure in realtà i parchi costano molto poco allo Stato», spiega Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi, «ma rendono moltissimo in termini di indotto. Dovremmo finirla di considerarli solo dei costi, sono degli investimenti». I numeri che fornisce l’associazione che riunisce tutte le aree protette sono eloquenti: oggi lo Stato dà ai parchi nazionali una media di poco più di 2 milioni di euro all’anno per parco (50 milioni in tutto nel 2010), ovvero 37 euro per ettaro protetto, molto sotto la media europea di 50 euro per ettaro protetto. Soldi che non bastano nemmeno a completare le piante organiche degli enti e a coprire tutti i compiti preposti, come la vigilanza. Però i parchi nel loro complesso portano 80mila occupati (4mila diretti, 12mila nell’indotto, 4mila nella ricerca e nei servizi in 500 progetti di studi e ricerche, 60mila nell’indotto del turismo, dell’agricoltura, dell’artigianato, del commercio), 2mila centri visita, strutture culturali e aree attrezzate; oltre 34 milioni di visitatori l’anno; 750 cooperative di servizi e di lavoro; 200 associazioni onlus impegnate; il tutto per un giro complessivo di affari di oltre 1 miliardo. Che significa per l’erario un incasso di oltre 300 milioni l’anno, ovvero 6 volte tanto quanto spende per il funzionamento dei parchi.

Meno burocrazia
Altro che spesa improduttiva, quindi. Tanto che il ministro Stefania Prestigiacomo ha dovuto correre ai ripari, per arginare Tremonti, promettendo un emendamento alla manovra per salvare i parchi. Certo, ammette Sammuri, margini di miglioramento nella gestione economica delle aree protette ce ne sono. A cominciare, spiega, da uno «snellimento della burocrazia, per dare agli enti una maggiore agilità di spesa». E poi, soprattutto, sarebbe utile incentivare nuove forme di finanziamento che integrino i finanziamenti pubblici. Come i ticket di ingresso alle aree, ma anche aperture ai fondi privati: « La legge quadro sulle aree protette», spiega Sammuri, «prevedeva forme di defiscalizzazione per i privati che investono all’interno dei parchi: una norma rimasta sulla carta, perché non sono mai stati emanati i regolamenti attuativi. E poi si dovrebbero istituzionalizzare le cosiddette compensazioni di scopo. Per esempio: le sorgenti di acqua potabile sono per il 70% all’interno delle aree protette. Basterebbe riservare una quota di un centesimo al litro di acqua venduta per il finanziamento dei parchi (come fanno nel Parco Adamello Brenta) e i parchi avrebbero più ossigeno». Al riparo da future scuri tremontiane.

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