Non profit
Più è inaccessibile, più è desiderabile. Così funziona nella società opulenta
di Redazione
Meglio non vederlo. Coperto dalle nuvole o dietro l’angolo di un costone. Ti stimola ad andare avanti e a non deprimerti nell’inquadrarlo, minuscolo lassù in alto. Questo è il rifugio per un peones della bassa montagna. E sai che soddisfazione quando si svela, quasi improvviso. La mia migliore epifania lo scorso anno durante una tappa dell’Alta via delle leggende. Rifugio Volpi al Mulaz, zona Passo Rolle, dopo una faticosa (per me) traversata di nebbia e di pioggia. Anche la crisi non deve mancare verso il rifugio: fisica, psicologica e, se non si è soli, relazionale. Arrivati. Il rifugio merita davvero: appoggiato in una conca a 2.500 metri con possibilità di raggiungere facilmente le vette sovrastanti e di fare anche qualche bel percorso con la giusta dose di rischio.
Complice il maltempo si mostra nella sua versione ideale, senza derive da struttura alberghiera d’alta quota, dando il là a un lirismo ben conosciuto: la bellezza dei luoghi, l’ebbrezza del pericolo, la semplicità dell’accomodamento e lo spirito comunitario dei residenti. Per squarciare il velo dell’incanto da cartolina e andare alla radice di questa esperienza infilo nello zaino un classico di Fred Hirsch del 76, I limiti sociali dello sviluppo (Bompiani), un testo famoso per aver introdotto il concetto di “bene posizionale”. Sono beni materiali e servizi molto ambiti perché scarseggiano in senso assoluto o perché il loro godimento è deteriorato dall’eccessivo consumo. Di solito si fa l’esempio della spiaggia deserta. Ma anche andando nelle Dolomiti le cose non cambiano di molto, anzi. Il rifugio rappresenta una modalità di consumo di una società opulenta dove lo status sociale è legato alla fruizione di beni la cui desiderabilità cresce al pari della loro inaccessibilità. E non fa più di tanto differenza se a renderli esclusivi contribuisce il costo monetario o qualche centinaio di metri di dislivello. Forse è anche per questo motivo che, più prosaicamente, sempre più persone si addentrano “into the wild”, aumentando la pressione antropica di ecosistemi molto fragili. Sarà poco poetico, ma andar per rifugi rappresenta, anche da questo punto di vista, un’esperienza che va al limite, anche del nostro modello sociale.
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