Mondo
«Migranti, i soliti capri espiatori»
Intervista a Angel Gurria, Segretario Generale dell'Ocse
Anche i migranti devono ormai fare i conti con la crisi. Lo sostiene un rapporto dell’Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economici (Ocse) presentato oggi a Bruxelles. L’edizione 2010 del “International Migration Outlook” rivela che nel 2008, l’ultimo anno di riferimento statistico, “le entrate di migranti nei 22 paesi dell’area Ocse sono calate del 6%, per stabilizzarsi sulla soglia dei 4,4 milioni di individui, mentre nei cinque anni precedenti il loro numero cresceva a una media di 11% ogni anno”. Inoltre, “secondo dati nazionali recenti, il calo si sarebbe accentuato nel 2009”. Il rapporto Osce mette in luce dati divergenti tra i migranti cosiddetti “permanenti” – cioè in possesso di un permesso di soggiorno rinnovabile – e quelli temporanei. Nel primo caso, il calo è del 7%, mentre nel secondo si parla di una diminuzione del 4%. Di tutt’altra tendenza sono i ricongiungimenti familiari, in aumento del 3% rispetto al 2007, e i richiedenti di asilo (+14%). “Al di là di questi dati contrastanti, ciò che più ci preoccupa è il fatto che i migranti presenti nell’area Ocse sono le prime vittime della crisi”. Lo sostiene il Segretario Generale dell’Ocse, Angel Gurría che in questa intervista rilasciata a Vita.it punta il dito contro le politiche migratorie dei paesi ricchi. E qualche paradosso.
Vita.it: Che cosa bisogna ritenere da questo rapporto?
Angel Gurría: La crisi economica sta chiaramente incidendo sui movimenti migratori, in particolar modo su quelli legato al mondo del lavoro, in netto calo rispetto al passato più recente. Nel contempo, c’è tutta una fascia di migranti in regola che con la crisi hanno perso il loro posto di lavoro. Purtroppo, ogni volta che l’Europa attraverso un periodo economico difficile, i primi a saltare sono i migranti, anche perché molti di loro sono vittime di contratti di lavoro precari. Ad eccezione del Regno Unito, il tasso di disoccupazione tra i migranti è superiore a quello registrato tra gli autoctoni. Detto questo, il Vecchio continente è confrontato a uno strano paradosso: da un lato abbiamo tassi di disoccupazione mai visti dal Secondo dopoguerra, poi dall’altro scopriamo che ci sono aziende alla ricerca di manodopera. Questo contrasto viene totalmente offuscato da una leadership politica europea molto sensibile alle preoccupazioni dei cittadini Ue e che continua a presentare i migranti come una minaccia anziché una risorsa.
Vita.it: Qual è il valore aggiunto dei migranti in tempi di crisi?
Gurría: Nei paesi ricchi la gente si deve mettere il cuore in pace. Basta osservare le tendenze demografiche dei prossimi decenni per capire che l’arrivo di nuovi migranti è indispensabile per contrastare l’invecchiamento di una popolazione come quella europea. Prendiamo il caso della Spagna. Alla fine degli anni ’90, il sistema pensionistico spagnolo era sottoposto a rischi altissimi. In altre parole il calo della natalità, sommato a una speranza di vita sempre più elevata stava minacciando le pensioni di milioni di cittadini spagnoli. Ora, la Spagna ha sfruttato il boom economico registrato tra il ’98 e il 2008, in particolar modo nei settori del turismo, della costruzione e dei servizi per accogliere cinque milioni di migranti. Nella stragrande maggioranza dei casi si è trattato di migranti senza famiglia, giovani, sani, quindi con un costo sociale molto basso, almeno inizialmente. Il versamento dei contributi ha poi consentito allo Stato spagnolo di salvare il suo sistema pensionistico di almeno dieci, se non quindici anni. Un contributo enorme che contrasta con il periodo durissimo che stanno attraversando i migranti, le prime vittime della crisi economica in cui è piombato il paese.
Vita.it: Quali sono i paesi dell’area Osce che hanno sviluppato politiche migratorie positive?
Gurría: Ne conto tre: Canada, Australia e Regno Unito. Ecco tre paesi che hanno imbastito politiche migratorie di lunghissimo respiro fondate su una presenza permanente dei migranti sul loro territorio. I governi di questi paesi sono convinti che lo sviluppo economico passa per l’accoglienza di nuovi migranti, anche con famiglie. Oggi naturalmente la situazione è molto più difficile, soprattutto nel Regno Unito. Come nel resto dell’Europa, il governo inglese è confrontato alla necessità di privilegiare i figli di immigrati, quelli di seconda e di terza generazione. E’ un bacino di manodopera enorme che nei prossimi mesi rischia di finire fuori dal mercato del lavoro e che va protetta.
Vita.it: E con i clandestini che bussano alle porte della fortezza Europa, come la mettiamo?
Gurría: Guardi che in generale i movimenti migratori sono regolati dal mercato del lavoro. Per quanto riguarda i clandestini osserviamo che, nonostante l’aumento delle richieste di asilo tra il 2007 e il 2008, il fenomeno è globalmente in calo. Non soltanto per l’irrigidimento delle politiche frontaliere, ma anche perché i costi per raggiungere le coste dell’Europa meridionale sono diventati alti, troppo alti per famiglie africane che ormai sono sempre più informate dei rischi che si incorre nel voler raggiungere l’eldorado europeo. Per non parlare delle condizioni durissime in cui vivono quei clandestini che finiscono in territorio libico. Detto questo, bisogna rimanere realisti, i movimenti migratori africani più intensi si verificano in Africa, tra un paese e un altro, oppure all’interno di una regione. Certo, il boom demografico straordinario che si prevede nei prossimi decenni sul continente africano, associato alla crisi climatica non prevede nulla di buono.
Vita.it: E l’Italia in tutto questo?
Gurría: Per via della sua posizione geografica, l’Italia rimane uno dei paesi europei maggiormente esposti ai fenomeni migratori clandestini. Nel contempo, l’integrazione dei migranti presenti sul territorio italiano è resa precaria da un mercato del lavoro in cui prevale l’economia sotterranea. Manca poi una politica migratoria coerente tra i vari ministeri, cosa non facile se pensa che un ministero come quello degli Interni ha interessi spesso contrastanti con quello degli Esteri, molto attento a mantenere buoni rapporti diplomatici con i paesi extracomunitari. A loro si sommano il ministero del Lavoro, che oggi è sottoposto a pressioni enorme per via dell’altissimo tasso di disoccupazione, il ministero della Giustizia, il padronato, i sindacati. Insomma, gestire i fenomeni migratori è cosa molto complessa, e per l’Italia la strada è ancora tutta in salita.
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