Volontariato

In ambulanza è scoppiata la pace

Per la prima volta faccia a faccia fra Cri, Anpas e Misericordie. Anteprima dal settimanale

di Riccardo Bagnato

Settimane calde per il volontariato sociosanitario. La scintilla che ha fatto scoppiare il caso è stata la dichiarazione del ministro della Salute, Ferruccio Fazio: «La Croce rossa è la più antica istituzione del nostro Paese e auspico di lavorare insieme per mettere a regime il volontariato nel Servizio sanitario nazionale».
Affermazione-bomba che ha spinto Anpas e Misericordie a lanciare l’allarme e a pretendere equità e trasparenza. Tempo 48 ore, è lo stesso Francesco Rocca, commissario Cri, a offrire la propria disponibilità a un chiarimento fra i big del volontariato sociosanitario. È nata così la tavola rotonda – che
Vita ha ospitato – fra le tre princiali sigle del sociosanitario, che si sono incontrate così, per la prima volta, faccia a faccia.
Hanno partecipato all’incontro organizzato da Vita lo scorso lunedì 5 luglio: Fausto Casini, presidente da sette anni dell’Anpas – Associazione nazionale Pubbliche assistenze, membro del comitato di indirizzo della Fondazione per il Sud e componente del Cnel – Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro; Francesco Rocca, commissario straordinario della Croce Rossa italiana, nominato nel 2008 dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi ma fino a pochi giorni prima capo del dipartimento per le Politiche sociali del Comune di Roma della giunta Alemanno; e infine Gabriele Brunini, presidente della Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia dal 6 ottobre  2007, componente del Cnel.

Non era mai successo. Per la prima volta dal dopoguerra, un “faccia a faccia” tra i big del volontariato sociosanitario. Uno di fronte all’altro: Croce Rossa, Pubbliche Assistenze e Misericordie seduti intorno a un tavolo per discutere dei problemi che li separano, ma con la volontà di superarli. Un evento storico che trova ragione non solo nella storia, ma anche nei numeri. Cri, Anpas e Misericordie, insieme, coprono infatti più dell’80% del trasporto sociosanitario italiano, e talvolta il 100% come in Toscana. Un esercito – se così si può dire – di oltre 9mila ambulanze e 300mila volontari che ogni giorno garantiscono un servizio fondamentale per i cittadini: quello di essere soccorsi in caso di necessità. E che lo fanno gratuitamente. Da oltre cent’anni.

Alleate per un nuovo Ssn
Parola d’ordine, “fare sistema”. Basta con le divisioni fra associazioni, scordiamoci le dichiarazioni di Fazio, da oggi bisogna andare insieme, regione per regione, e chiarire una volta per tutte che il volontariato c’è, e non è disponibile a barattare il proprio contributo e la propria identità con le briciole. Lo sostengono con forza tutte e tre le sigle, convinte che le recenti polemiche vadano superate.
«È importante che la politica capisca che in Italia c’è un sistema in cui i cittadini storicamente partecipano alla gestione del sistema sanitario nazionale», dice Fausto Casini, presidente Anpas, che aggiunge: «Il volontariato, dove c’è, dove “vuole” esserci, permette il rispetto di standard formativi riconosciuti; è geograficamente capillare; per non parlare del fatto che le nostre associazioni conoscono molto meglio di qualunque istituzione il territorio in cui sono nate e a cui sono legate».

«Il vero problema», conclude Casini, è che oggi bisogna riprendere un dialogo che si è fermato all’indomani della riforma costituzionale del 2001, quando i servizi sociosanitari sono diventati materia di competenza esclusiva delle Regioni. A quel punto queste si sono arrangiate come potevano creando, però, diseguaglianze e fraintendimenti pericolosi».

Gli fa eco Francesco Rocca, commissario Cri: «Le Regioni escano dall’ambiguità. Fino a quando anche nelle Asl o nelle Regioni i servizi offerti dal volontariato vengono considerati fornitura di beni e servizi e non c’è al loro interno un luogo deputato e preparato a dialogare con soggetti che hanno loro prerogative, come lo sono le nostre associazioni, il problema rimane».

Un’attenzione maggiore, quindi. È quanto chiedono le associazioni da parte delle istituzioni, Regioni in primis. A reclamarla sono i numeri. «Il volontariato non è uno strumento per abbattere i costi», continua Rocca, che racconta: «Noi affrontiamo spesso un paradosso: in aree in cui siamo forti, dove i servizi sono offerti da soli volontari – senza quindi un costo per dipendenti – ci sono nostre o altre realtà di volontariato che accettano compromessi economici al ribasso pur di non perdere il servizio».

Ma come può essere che un’offerta di soli volontari sia messa sotto scacco dal pubblico proprio in virtù di aspetti economici che invece dovrebbero teoricamente avvantaggiarlo? Ecco perché il volontariato vorrebbe una regia istituzionale consapevole, capace di mettere alcuni paletti. Quali? «Ad esempio che il sistema di affidamento dei servizi sociosanitari», dice Casini, «non sia un meccanismo di appalto nascosto in funzione del fatto che le associazioni di volontariato non possono gareggiare ad appalti. Come se non bastasse, quello che non ci piace è che l’appalto implica una deresponsabilizzazione del pubblico. Una volta appaltato un servizio, chi ne risponde è l’ente che deve erogare il servizio. Diversa è la convenzione, dove esiste una corresponsabilità. Oggi, purtroppo, non è sempre possibile: in parte per la mancanza di competenze all’interno dell’amministrazione pubblica, ma anche a causa delle nostre divisioni, grazie alle quale la Regione di turno ha potuto lavorare in una logica quasi esclusivamente di abbattimento dei costi».

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