Non profit

I mille perché della mia battaglia

di Redazione

L’orgoglio ritrovato. Alla fine di una settimana complessa e convulsa, mi ritrovo in tasca un po’ di orgoglio. Dignità di cittadino, di giornalista, di persona disabile. La necessità di farsi capire. La complessità delle parole. Le situazioni, le storie, i commenti, i casi umani, le invettive, la sfiducia, la fatica di vivere. Un film, fotogrammi cuciti da una memoria presbite. Ritrovo dentro di me le battaglie di un tempo, quando dovevo spiegare tutto: perché è difficile vivere in sedia a rotelle 24 ore al giorno; perché una mamma si sente stanca e felice al tempo stesso di accudire una figlia che non parla, che ha bisogno di tutto, ma che restituisce amore e sorrisi; perché il lavoro è dignità. Perché la trafila burocratica per un certificato è umiliazione. Perché 480 euro sono pochi. Perché 256 euro sono niente. Perché è giusto che lo Stato garantisca qualità della vita ai più deboli. Perché è importante che i Comuni abbiano i soldi sufficienti a garantire i servizi. Perché è brutto camminare come i gamberi, ripercorrendo strade ormai coperte di erbacce e di detriti. Perché vorrei invece ogni tanto occuparmi d’altro, di arte, di turismo, di poesia, di amicizie leggere, di paesi lontani. Perché i giornalisti famosi continuano a fare gli snob e a parlare solo alla loro ristretta cerchia di adulatori di mestiere. Alla fine ti resta l’orgoglio, un sorriso ironico quando leggi articoli stupidi, uno sbadiglio trattenuto a stento quando ascolti banalità in televisione, un leggero moto di insofferenza quando un collega ti chiede di dargli i numeri, le dimensioni, le statistiche. Perché solo se i numeri sono imponenti sembra che valga la pena di occuparsene.
E invece no. Il mio orgoglio, dopo tanti anni, è di poter scrivere liberamente, scegliendo le parole una alla volta, e mettendo i pensieri in fila, controllando che siano comprensibili non soltanto a me. Il mio orgoglio, che spero non diventi mai presunzione. Avvisatemi per tempo. Francamente.

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