Non profit
Buon appetito, l’hamburger sintetico è quasi pronto
Potrebbe essere commestibile già dal 2012
di Marco Dotti
I tecnici dei laboratori olandesi di Eindhoven hanno ottenuto la prima carne arficiale derivandola da cellule di maiale e calamitando i finanziamenti della InVitro Meat Foundation. E anche in Italia l’interesse cresce Un’alternativa-shock o, banalmente, l’annuncio di una nuova – l’ennesima – frontiera nella ricerca sugli ogm? Una soluzione concreta ai problemi dell’alimentazione e dell’inquinamento da produzione bovina che da tempo preoccupano la Fao e altre organizzazioni di settore o un’ulteriore forma di sfruttamento, anche simbolico, della vita animale? Difficile capire, ma altrettanto difficile non prendere posizione se in gioco ci sono questioni economiche, ambientali e soprattutto etiche di non poco conto, tornate alla ribalta dopo l’annuncio di un gruppo di ricercatori olandesi che, nei laboratori di biotecnologia dell’Università di Eindhoven, hanno ottenuto una bistecca di carne sintetica “derivandola” da alcune cellule di maiale.
Dalla brochure illustrativa della Fondazione InVitro Meat si apprende che la stessa è composta di «persone con l’ambizione di rendere la carne coltivata pronta per il mercato» («people with a passion for getting cultured meat ready for the market») e per questo la fondazione ha, tra le altre cose, una non meglio definita rete di relazioni preferenziali con il «governo olandese, società commerciali e istituzioni scientifiche». La carne, sempre secondo i propositi della InVitro, dovrebbe essere «saporita, sana e a basso costo» e i consumatori dovranno a tal fine essere «pienamente fiduciosi della carne che mettono in bocca». La carne coltivata è prodotta da coltura cellulare: una prima fase della “coltivazione” consiste nel prelevare un certo numero di cellule da un animale per lasciarle proliferare in un ambiente ricco di nutrimento; successivamente, quando si sono moltiplicate, le cellule vengono applicate su una struttura simile a una spugna e immerse in sostanze da cui traggono nutrimento. Le cellule così ottenute possono quindi essere raccolte, insaporite, cucinate e consumate come «preparati di carne senz’osso, ad esempio salsicce, hamburger e crocchette di pollo».
Se nel 1992 Rifkin sosteneva la necessità di andare oltre una “cultura della carne” (non a caso, il titolo originale del suo volume è Beyond beef, con un ovvio riferimento all’iperconsumo statunitense di carne bovina), il 21 luglio 2008, sulle pagine di Repubblica, il professor Umberto Veronesi pubblicava un articolo sostenendo che «la bistecca in vitro non deve scandalizzare né gli scienziati né i buongustai», anzi «risponde al dovere morale della scienza di trovare soluzioni al più urgente problema del pianeta: come procurare acqua e alimenti per tutti i suoi abitanti e come riparare la terribile ingiustizia alimentare che fa sì che milioni di persone muoiono di fame da una parte del mondo, e milioni si ammalano per troppo cibo dall´altra».
Le parole di Veronesi riecheggiano oggi nel progetto di un’altra fondazione, la New Harvest, che, operante anche in Italia, nel suo comitato scientifico ospita una figura di primo piano della ricerca sui cibi alternativi: Henk Haagsman.
Haagsman proviene dal dipartimento di “Meat Science” dell’università di Utrecht, è direttore di ricerche e autore di saggi sulle alternative al consumo di proteine animali, e di recente è balzato agli onori delle cronache anche per una presa di posizione in favore del premio da un milione di dollari istituito da Peta – People for Ethical Treatment of Animals, un’associazione animalista che conta più di due milioni di iscritti nel mondo. Il premio, da assegnare al primo centro di ricerca che «riuscirà a rendere commestibile la carne in vitro», è giunto inaspettato e ha provocato scissioni interne e spaccature di non poco all’interno dell’universo ambientalista, tanto che uno dei fondatori della Peta, Ingrid Newkirk, ha rivelato che la decisione ha già dato il via a «una guerra civile nei nostri uffici».
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