Welfare

Luci e ombre nella cura

Esperienze positive a macchia di leopardo, ma ancora molte criticità nel rapporto di Cittadinanzattiva

di Redazione

Tanto è complesso quanto è aperto a buone pratiche il settore della salute mentale. Le esperienze positive colpiscono per le innovazioni che portano con sé: a Trento ci si avvale del sostegno attivo di ex pazienti o familiari di pazienti affetti da sofferenza psichica che, in qualità di Utenti Familiari Esperti (UFE), supportano l’attività degli psichiatri. In provincia di Lucca, un centro specializzato accoglie i pazienti con turnover molto brevi e usa una pluralità di trattamenti, da quelli classici a quelli più innovativi, che su molte patologie hanno buon esito tanto da aver portato a una riduzione dei ricoveri. Sono due delle buone prassi che emergono dal convegno organizzato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato in occasione della presentazione del “Rapporto Audit civico nell’area della salute mentale: i cittadini valutano i servizi”. Si tratta di un progetto pilota che ha coinvolto sei aziende sanitarie, delle quali quattro Asl e due aziende ospedaliere, in Lombardia, Liguria, Veneto, Abruzzo e Campania, al quale si sono aggiunte le valutazioni del Rapporto Pit Salute. I risultati del progetto pilota sono stati sintetizzati attraverso una serie di affermazioni che mettono in evidenza quanto il settore sia complesso e come i punti maggiormente critici dei servizi siano la sicurezza dei pazienti, l’accessibilità e le emergenze, l’integrazione socio-sanitaria e l’informazione.

In particolare, il focus ha analizzato rispettivamente i servizi erogati da Dipartimenti di salute mentale (DSM), Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC) e Centri di salute mentale (CSM), evidenziando in primo luogo come “garantire la sicurezza sia più facile nella teoria che nella pratica”. Cosa significa? Che passando dal livello decisionale (DSM) a quello operativo sul territorio (CSM) la situazione tende a peggiorare. Uno degli esempi riportati è dato proprio dalla sicurezza dei pazienti, dove sono i Centri di salute mentale ad attestarsi su situazioni scadenti. Così nei DSM ci sono le linee guida sulle modalità per assicurare interventi in emergenza e urgenza 24 ore su 24, ma in nessun Centro di salute mentale esaminato ci sono linee guida scritte per la prevenzione delle crisi e solo nel 40% è prevista una procedura per identificare i pazienti a rischio suicidio. Alla sicurezza del paziente si accompagna la sicurezza della struttura, valutata sulla base delle condizioni di 99 CSM presenti nel VI Rapporto Audit civico: si segnalano fatiscenza, trascuratezza, strutture obsolete, poco curate.

Un altro elemento critico è rappresentato dall’integrazione dei servizi, buona o discreta solo per i servizi sanitari ma non per quelli socio-sanitari: il che significa che sono molto inferiori o assenti i rapporti di collaborazione con distretti scolastici, servizi materno-infantili, consultori, forze dell’ordine, magistratura, servizi di assistenza a disabili e anziani. E solo in due Dipartimenti e in due Centri esistono procedure scritte di collaborazione con il servizio di neuropsichiatria infantile.

Ancora: si è più attenti alla privacy che alla umanizzazione delle cure. Valutazione positiva per la collaborazione con le associazioni di volontariato, meno per la lotta allo stigma sul quale ancora c’è molto da fare. Contraddizioni e differenze ci sono anche per quanto riguarda l’informazione e la comunicazione, discreta dei Dipartimenti e nei Servizi psichiatrici e mediocre nel CSM, dove sono pochi gli opuscoli informativi sui diritti dei pazienti, sui servizi offerti e sui nomi degli operatori.

Di “dati complessi” e “quadro contraddittorio” parla Francesca Moccia, coordinatrice nazionale del Tribunale per i diritti del malato: “Dovremmo valorizzare – queste le richieste – le buone pratiche esistenti. Bisogna sanzionare chi viola palesemente i diritti umani, perché non è accettabile che le persone siano sottoposte a Trattamento Sanitario Obbligatorio anche quanto questo non è necessario. Dobbiamo lavorare per sviluppare le reti di mutuo-aiuto. Chiediamo di rafforzare i servizi nella dimensione territoriale anche per ridurre i ricoveri. E adottare la Carta europea dei diritti del malato nei servizi di salute mentale”.

Dall’associazione parole chiare sulle violazioni dei diritti umani: “Non è accettabile che le persone con sofferenze psichiche siano sottoposte a Trattamenti Sanitari Obbligatori anche nei casi in cui questi trattamenti non sono necessari: si tratta di un abuso che viola i diritti elementari della persona. In molti Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura si legano le persone, si tengono le porte chiuse a chiave, si fa un uso massiccio di psicofarmaci come unica risposta alla complessità della sofferenza e dei bisogni che le persone esprimono. La contenzione è sempre una violazione dei diritti umani in quanto azione lesiva della libertà e della dignità della persona”.

Ci sono poi le testimonianze di esperienze innovative. Una è riportata da Claudio Agostini, Dirigente medico del Servizio di salute mentale di Trento – Area critica, che ha raccontato i frutti dell’esperienza Fare Assieme: tavoli di concertazione che mettono insieme utenti e cittadini dal quale è scaturito il progetto “Percorsi di cura condivisi”, nel quale utenti e familiari hanno costruito un patto di cura che vede come garante un Utente Familiare Esperto (UFE). Chi sono gli UFE? “Possono essere – racconta Agostini – solo persone che hanno vissuto la sofferenza psichica o personalmente, o perché hanno avuto un familiare che ne soffriva”. Attualmente sono 50 persone che garantiscono 20 mila ore di attività nei centri di salute mentale, intervengono nei call center e al front office, nell’assistenza notturna nella struttura “Casa del Sole”, sono presenti nel reparto ospedaliero, fino alla presenza in situazioni a rischio TSO “dove gli UFE portano la loro esperienza per incoraggiare le persone a fidarsi”.

Altra pratica innovativa è l’esperienza della Valle del Serchio (Lucca), raccontata dal primario CSM di Lucca Mario Betti: “Il servizio si basa sull’interazione con la rete sociale, sulla residenzialità modulare, sulla complementazione dei trattamenti”. Il turn over nel centro varia da pochi giorni o settimane fino a un massimo di 3 mesi e viene attuata la gestione extra-ospedaliera della crisi. Interessante l’uso complementare di diversi trattamenti, da quelli sanitari classici al supporto psicologico, dalla consulenza familiare al trattamento psico-corporeo, fino ad arrivare a trattamenti quali terapie a mediazione artistica – teatro, musica, biodanza – alla cromoterapia, ai trattamenti fitoterapici. Una complementarità di cure, spesso a basso costo e privi di effetti collaterali, che hanno un esito positivo su diverse patologie. Basti pensare che i ricoveri in SPDC sono diminuiti nel tempo da un centinaio a trenta/quaranta l’anno.

 tratto da www.helpconsumatori.it

 

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