Welfare

Stati nazionali in ordine sparso E le ong messe all’angolo

«I parametri sono poco precisi, si rischia che ognuno li applichi a modo suo. E il poco tempo a disposizione spingerà i governi a far da sé»

di Redazione

Soddisfatti a metà. La società civile europea promuove con riserva la strategia “Europe 2020” elaborata dalla Commissione Barroso.
Dopo il fallimento della Strategia di Lisbona (2000-2010), l’esecutivo Ue ha preparato un secondo piano d’azione decennale a favore dell’occupazione e della crescita che si snocciola in cinque sfide, l’ultima delle quali mira a ridurre di almeno 20 milioni il numero di persone colpite dalla povertà.
«La parte mezza piena del bicchiere ci dice che per la prima volta gli obiettivi dell’Ue sono basati su delle cifre», sostiene Adriana Opromolla, responsabile delle politiche sociali di Caritas Europe. Ma 20 milioni non bastano. «Noi chiedevamo una riduzione di almeno il 30%. Oltretutto, non si sa nulla sui target che gli Stati membri devono raggiungere a livello nazionale».
A ruota, il presidente di Social Platform, la più importante piattaforma di ong sociali in Europa, punta il dito contro i parametri di riferimento adottati dal Consiglio per misurare la povertà. «Bastava tenersi il parametro più serio, quello sulla povertà relativa che include le persone che vivono con meno del 60% del reddito mediano nazionale», sostiene Conny Reuter. «E invece no, su pressioni di alcuni Stati membri come la Germania, si sono aggiunti altri due parametri meno precisi». Un bel problema se si pensa che ogni governo è libero di scegliere il parametro che vuole per misurare la povertà nazionale. «Oltre a creare una mappa europea della povertà disomogenea», aggiunge dal canto suo Ludo Horemans, presidente della European Platform Against Poverty, «c’è il rischio che alcuni governi sfruttino questo margine di libertà per stilare programmi meno ambiziosi».
Il rischio è che la società civile europea rimanga fuori dai piani anti povertà che gli Stati membri dovranno presentare in autunno. II tempo concesso al dialogo tra le parti sociali, il mondo associativo e i ministeri di competenza per discutere la strategia sarà molto limitato. Il rischio è di vedere dei piani nazionali confezionati unicamente dai governi.

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