Il pregio di un libro come questo è di essere un libro di grande attualità che sa andare molto oltre l’orizzonte dell’attualità. Per andare oltre la crisi, come recita il sottotitolo, è prezioso avere uno sguardo capace di misurare il presente con l’esperienza e il pensiero del passato. A Marco Vitale la conoscenza del passato certo non manca. Così questo libro è attraversato da continui richiami a Manzoni: pertinenti e sorprendenti sono le pagine sulla sottovalutazione della peste proposte in riferimento alla sottovalutazione che minimalisti e talebani del mercato hanno fatto della crisi. Ma sono sorpredenti anche le pagine in cui Vitale oppone i due modelli: quello sano del capitalismo di mercato e imprenditoriale a quello insano dei “capital gain”. È un’autentica scoperta, in questa sezione, la figura di Albertano da Brescia, che intorno alla metà del 1200 aveva per primo introdotto l’idea della «buona ricchezza per buoni e lieti procacciamenti», contro l’ostinazione della Chiesa secondo la quale ogni prestito equivaleva ad usura. Era la prima legittimazione del profitto. Oggi siamo arrivati a una sorta di totalitarismo del profitto, che ha originato con le dinamiche speculative la grande crisi che stiamo vivendo. È il fenomeno dell’ultracapitalismo che è come «un fiume vorticoso». Per arginarlo non serve a nulla la businnes ethic («la responsabilità sociale e altre chiacchiere di questo tipo», mette in guardia Vitale). È la società che deve reagire, imponendo un altro modello, che riporti il capital gain alla sua natura di «semplice, utile e disciplinato strumento». In sintesi: guardatevi da chi si picca di prevedere gli scenari futuri. Per andare oltre la crisi basta analizzare la realtà esistente «per trarre indirizzi e indizi di azione per il futuro».
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