Formazione
La storia di Giulia, da 34 a 51 chili
Anoressia: la testimonianza di una che ne è uscita. Con una scheda medica e indirizzi utili
di Redazione
Sapeva che sua figlia stava male. Per tre mesi Giulia se n’era stata in cucina, la stanza più calda. Una poltrona letto, qualche spremuta d’arancia consumata solo di notte. Ogni tanto un passato di fagioli per dare proteine ai suoi 34 chili e potersi concedere lunghi pomeriggi a camminare sui colli intorno. Marianna sapeva che sua figlia stava male: fra pianti e notti in bianco alla fine l’aveva pronunciato, «malattia psichiatrica». Anoressia. E capiva che le attenzioni, tutto quell’affetto in base al quale si programmava le giornate e la vita non era l’amore cieco di una mamma iperprotettiva, ma la straordinaria routine di chi deve prendersi cura di un malato mentale. Sapeva tutto, Marianna. Si confrontava con un’amica neuropsichiatra, cercava bussole mettendo da parte la sua cultura, il suo orgoglio. Ma quando, dopo aver costretto Giulia a sottoporsi a esami clinici, le dissero che aveva sì e no due settimane di vita, ha ricominciato da capo.
Marianna è appena andata in pensione dopo una vita di insegnamento. Non si è mai sposata. A quarant’anni ha desiderato e avuto Giulia, da un uomo inglese col quale si è sempre tenuta freddamente in contatto, e che Giulia conosce e saltuariamente va a trovare. «Ma non è una presenza rassicurante», taglia corto Marianna. E forse la figlia assomiglia a lui, ansioso e soggetto alla depressione.
Giulia oggi pesa 51 chili, per un metro e 75 d’altezza. «è ancora magrolina», accenna un sorriso, Marianna, «ma va bene così. Adesso mangia la pasta a pranzo e il riso a cena, 100 grammi di carne, verdura e una mela. Ha una gran paura di variare. Per lei sarebbe impossibile uscire con gli amici a prendere un gelato». è presto, ancora. E sua madre ha imparato che l’anoressia ha tempi lunghi ed esige pazienza e fiducia. Anche la scuola può aspettare: «L’ha lasciata in seconda liceo, per lei qualsiasi prova sarebbe un trauma, adesso. Quest’anno ha frequentato un corso di teatro, le è piaciuto. Per ora va bene così», ripete Marianna.
Giulia, che oggi ha vent’anni e una voce vispa da bambina, sta male da tanto tempo, da quando è uscita dalla cameretta della sua infanzia. L’anoressia è stato il secondo atto di un’adolescenza inquieta. «A 15 anni», racconta sua madre, «ha cominciato a manifestare una forte insicurezza. Aveva paura della scuola, finché è esplosa l’insonnia». In quel momento Marianna ha iniziato a vivere per lei: «Mi sono data da fare in tutti i modi, anche grazie ai consigli dei miei colleghi e degli insegnanti di Giulia. L’ho mandata da uno psicologo, lei lo ha accettato ma non è mai riuscita a costruirci alcun rapporto. Intanto prendeva farmaci per l’ansia, cose molto leggere».
A novembre 99, la ragazza decide di andare in Inghilterra a imparare la lingua. E sta in casa del padre. «Mi telefonava preoccupato, Giulia non mangiava più», prosegue Marianna. «Una mia cara amica è andata a trovarla e mi ha raccontato dei particolari, degli atteggiamenti. Io l’ho detto subito: è anoressia». La tensione si fa insopportabile, per madre e figlia, «stava male ma non voleva tornare da me, ci teneva a finire quel corso d’inglese, come se rappresentasse una piccola sfida che doveva vincere». Due mesi, e Giulia finalmente è a casa. Otto chili di meno. E si chiude in cucina.
Dopo aver sfiorato la morte, Marianna per caso sente dell’esistenza di un centro per i disturbi alimentari. «Io non ti faccio morire qua, le ho detto. E abbiamo passato la notte a piangere, lei che rifiutava di farsi ricoverare e io che facevo sforzi sovrumani per parlarle con pazienza e razionalità». Giulia alla fine accetta. Due mesi di colloqui con psichiatri e dietologi, in un’altra città, poi il day hospital. Marianna è costretta a lasciare il lavoro da maggio alla fine delle lezioni, e quando lo racconta piange. è stato il periodo più buio: «Finché insegnavo, riuscivo comunque a dare a entrambe una parvenza di normale vita familiare. E poi a scuola c’erano le persone che mi volevano bene, mi sostenevano. Sono stati loro a darmi la forza». Invece quell’estate del 2000 è un trauma: «„Per le anoressiche», spiega Marianna, «è terribile dover sottostare alle regole dell’ospedale e vedere il proprio corpo che ingrassa. Giulia ha tentato il suicidio ingoiando farmaci, è anche scappata dall’ospedale, l’ho ritrovata per strada all’una di notte. Alla fine i medici l’hanno dimessa perché non seguiva il programma. Un giorno mangiava, il giorno dopo nascondeva il cibo perché la paura di ingrassare stava sempre dentro la sua testa. Sembrava incurabile. A me è crollato il mondo addosso, ma al medico ho risposto d’istinto: e se a casa nostra riusciamo a raggiungere quei 48 chili in un mese, come da programma, me la riprendete?». Lo psichiatra dice sì, ma aggiunge: sarà impossibile.
«Allo scadere delle quattro settimane Giulia era 48 chili. Non so cosa sia scattato», sospira la madre. «Fatto sta che a casa è stata brava, ha collaborato. Alla fine i dottori le hanno studiato un programma su misura: prima due colloqui a settimana, adesso uno». Marianna si è completamente abbandonata al parere degli specialisti: «Sono due i passi difficili da affrontare quando hai una figlia anoressica», dice. «L’accettazione della malattia, quella consapevolezza che ti preserva da errori irreparabili, come l’insistenza col cibo, che fa solo allontanare tua figlia e la induce a dirti bugie. E l’abbandono della tua intelligenza, del tuo senso critico: devi ammettere la tua impotenza, sei troppo coinvolta per fare la cosa giusta. Affidati a chi ne sa».
C’è vento, e Marianna ha da fare: lei e la figlia, con un gruppo di amici, sono appena arrivate in Sicilia per le vacanze. Le prime dopo anni di freddo.
Scheda medica
Quella dannata paura del cibo
Si prende il proprio peso corporeo, in chili, lo si divide per la propria altezza, in metri al quadrato, e si ottiene l’indice di massa corporea (Imc). Che è normale se compreso fra 18,5 e 24,9, a rischio anoressia se fra 17,5 e 18,5 e verso l’obesità se si colloca fra 25 e 29. Sotto 17,5 e sopra 29, il valore è patologico.
Anoressia e bulimia sono due malattie psichiatriche classificate fra i disturbi ossessivo-compulsivi, e che hanno come effetto la paura del cibo. Secondo statistiche rese note dal ministero della Sanità, in Italia i disturbi del comportamento alimentare colpiscono più di 300mila persone, con più di 8mila nuovi casi lgni anno. Fra questi rientrano però tanti tipi di malattie, che vanno dall’obesità alle intolleranze alimentari. Sono 65mila, invece, le donne fra 12 e 25 anni in cura : lo 0,3% sono anoressiche, l’1% sono bulimiche. Gli uomini, invece, si ammalano di meno.
Dove curarsi
Al nord, Brescia: Centro per i disturbi alimentari “Moro”,
professor Fausto Manara, tel. 030.45919
Al nord, Milano: Ospedale San Raffaele – “Villa Turro”,
professoressa Laura Bellodi, tel. 02.26433315
Al centro, Bologna: Università di Bologna – Clinica pediatrica – Centro per i disturbi del comportamento alimentare,
professor Emilio Franzoni, tel. 051.346744
Al centro, Roma: Ospedale del Bambin Gesù, Servizio di neuropsichiatria infantile,
professor F. Montecchi, tel. 06.68592265 – 2734
Al sud, Palermo: Asl 6, reparto di neuropsichiatria infantile,
professor F. Canziani, tel. 091.7035422
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