Non profit
Vi.To., la seconda vita delle vittime di tortura
In Italia ce ne sono oltre 600. Chi sono e da dove vengono
Il 70% sono uomini e nella metà dei casi scappano dall’Africa. A Roma vengono assistiti da una decina di operatori del Cir. Un modello unico in Europa Permettere alle vittime di tortura di avere una seconda vita. È questo l’obiettivo di un progetto tutto italiano che oggi è il fiore all’occhiello dell’Unione europea nell’accoglienza e nella cura delle persone che hanno subito torture e dei loro familiari: si chiama Vi.to. ed è stato ideato dalla onlus Cir – Consorzio italiano per i rifugiati, e permette oggi a 610 vittime e alle loro famiglie di ricominciare a vivere dopo le tremende esperienze vissute nel loro Paese d’origine o, nel caso dei migranti, in quelli di passaggio.
«Il vero scopo di ogni metodo di tortura è distruggere l’identità di un individuo. Noi puntiamo a ricostruirla», spiega Fiorella Rathaus, responsabile del progetto Vi.to. (acronimo di Vittime di tortura) nato nel 1996 e finanziato attualmente dal Fondo europeo per i rifugiati e dal Fondo delle Nazioni Unite per le vittime di tortura. Non prevedendo la possibilità di alloggio, la decina di operatori del progetto, che ha sede a Roma, riesce però a garantire assistenza legale, medica e psicosociale, «utilizzando anche il teatro come forma per esprimere i propri vissuti, laddove le parole non bastano». Ogni anno, in occasione della giornata Onu del 26 giugno, alcuni utenti di Vi.to. recitano in un’opera teatrale a tema: l’edizione 2010 racconta le storie di chi ha attraversato il Mediterraneo con i barconi della disperazione (vedi box). «Sono 111, secondo Amnesty international, i Paesi in cui si pratica la tortura, ovvero metà della popolazione mondiale vive sotto governi che non rispettano i diritti umani», precisa Rathaus, «e solo nel 2009 si stima che i richiedenti asilo in Europa vittime di tortura siano stati 65mila».
Una via ancora più diretta per “intercettare” le persone che scappano dalla tortura sono «la nostra presenza alle frontiere, Libia in primis», sottolinea la responsabile di Vi.to., «e il collegamento con i Cara (i centri di accoglienza per i richiedenti asilo, ndr) di tutta Italia».
Gli utenti sono soprattutto giovani, il 70% uomini, e per il 50% provenienti dall’Africa, in particolare quella centrale, Congo ed Eritrea su tutti. «Poi Afghanistan, Iraq e Kurdistan turco», aggiunge Rathaus. Le loro storie sono terribili: «Ci sono donne che si sono viste uccidere o rapire i propri figli, o sono state violate davanti a loro». E a fianco dell’impegno diretto verso le vittime, la battaglia del Cir mantiene un altro fronte aperto: «L’Italia è il solo Paese europeo che non prevede il reato di tortura nel Codice penale. Bisogna fare lobby per convincere i politici a introdurlo».
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