Non profit

Il nuovo doge con la camicia verde

Ritratto dell'uomo che sta cambiando il Veneto e la Lega Nord

di Redazione

In cento giorni ha girato
in lungo e in largo tutta la regione. Sempre pronto
a confrontarsi con tutti:
dalle aziende in crisi al volontariato, dai banchieri ai vescovi. Uno stile di successo che però nasconde qualche contraddizione di troppo
Padania, addio; benvenuti in Zaiastan. Sono passati appena cento giorni ma per Luca Zaia, governatore dallo slogan facile («Prima il Veneto») e dalle percentuali bulgare (eletto con oltre il 60% delle preferenze) sono stati sufficienti a tracciare le linee di indirizzo di una presidenza che promette di issare una nuova bandiera nelle mani di Alberto da Giussano. «Se devo definirlo con una formula, parlerei di pragmatismo opportunista». La bollatura è vergata da Gianfranco Bettin, prezioso osservatore (da sinistra) di tutto ciò che si muove nelle viscere dell’ex regno della Balena bianca. Dimenticate pure il celodurismo del primo Bossi e le incontinenze alla Borghezio. La Lega 2.0 è tutt’altra cosa. E in Zaiastan, molto più che a Cotaland, lo vogliono dimostrare con le parole (prima) e coi fatti (da verificare). Basta scorrere l’agenda dell’ex ministro anti ogm, compagno di trincea della Coldiretti, per trovarlo a poche ore di distanza prima a Verona per tranquillizzare una comunità pronta ad alzare le barricate contro l’ipotesi di localizzare in quella provincia uno dei nuovi Cie («valuteremo la soluzione che sarà più gradita e con il minore impatto sul territorio») e dopo sull’ottovolante di Gardaland per incensare il terzo polo turistico d’Italia (dietro il Colosseo e i Musei Vaticani), ricordando che il mega parco dei divertimenti è «un’azienda che crea benessere con i suoi 1.750 dipendenti e le 350 imprese dell’indotto». Prima il Veneto.
E così, fra una bacchettata alle previsioni del tempo romanocentriche («I meteorologi che mettono un dito sul Nord-Est e pensano che non ci sia differenza tra Trieste, Chioggia, Verona e Trento fanno danni economici incalcolabili») e le frequenti visite alle aziende dell’eccellenza veneta (dalla Specchiasol di Bussolengo alla Indesit – in crisi – di Refrontolo), Zaia è stato fra i più pronti a stringere la mano a monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo “progressista” di Vicenza dopo la sua elezione a vicepresidente della Cei per l’area Nord e a congratularsi con Claudio Rigo, neo responsabile Unicredit per il Nord-Est. Lavoro, fede, denaro. Sempre nel nome della primarietà del Veneto. Il nuovo doge in camicia verde, che in campagna elettorale davanti alla gente di Porto Marghera aveva detto: «Siamo noi il vero partito laburista», riapparirà infine a fine agosto anche sulla passerella, sempre ricercata, del Meeting ciellino di Rimini. Muoversi tanto e parlare con tutti. Il sedentario Galan da queste parti è preistoria.
I movimenti di Zaia però rispondono ad una logica ben precisa: fare la voce grossa in pubblico, ragionare con calma in privato. Pragmatismo e opportunismo. «Proprio così, ma», dice Bettin, «non dimentichiamo che gli investimenti sulle politiche di integrazione o sulle residenze pubbliche per gli immigrati rimangono comunque sotto zero». Anche perché in Zaiastan non ce n’è bisogno. Ancora Bettin: «Tanto qui le vere politiche di integrazione le fanno il mercato del lavoro e quello immobiliare, che da tempo hanno capito che gli immigrati sono una risorsa». Un convincimento silenzioso che la Lega 2.0 ha imparato a cavalcare. E così quando servono la manodopera da mettere nelle fabbriche (o nelle botteghe, come direbbe lo stesso Zaia) o le badanti da referenziare per le famiglie, sono i primi a parlare con la Caritas o con le associazioni. Non sorprenda dunque che proprio in questi giorni l’assessore ai Servizi sociali, Remo Sernagiotto e don Giovanni Sandonà, responsabile Caritas del Triveneto, abbiano acceso una linea di dialogo diretto. Il cambio di guardia in Regione non ha scosso nemmeno Carlo Melegari, direttore del Cestim di Verona, uno dei migliori centri studio sull’immigrazione, che parla «di continuità nei fatti con le precedenti amministrazioni» e di una «foga xenofoba da comizio che poi non si ritrova nella quotidiana amministrazione».
In Zaiastan persino i delegati della Cgil, che pur continuano a votare in larga misura a sinistra, considerano la Lega un partito di destra che si caratterizza innanzitutto per voler limitare l’immigrazione, ma a cui va riconosciuta la «capacità di essere presente nella vita di comunità, di offrire un’appartenenza, di garantire la sicurezza e di difendere gli interessi degli operai», per citare un’indagine dell’Ires veneta. In Veneto – lo dice una ricerca Fivol – le associazioni di volontariato che si occupano di assistenza sociale, assistenza sanitaria e tutela e promozione dei diritti sono in percentuali maggiori rispetto alla media nazionale. Il segreto? Un laissez-faire socio-economico che consente di mettere a reddito (elettorale) le crociate securitarie. Una macchina perfetta. Non infallibile però: il primo ostacolo rischia di essere proprio un governo, quello di Roma, ad altissimo tasso di veneticità. Come avverte Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord-Est che punta l’indice sul nodo (cruciale) delle infrastrutture: «I soldi per la Tav non ci sono, ormai è chiaro a tutti». E se cade il mito di «Prima il Veneto», anche Zaia rischia di farsi davvero male.

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