Non profit

L’idea delle Regioni: separare anziani e disabili

controproposta

di Redazione

Le Regioni vogliono cambiare tutto. Nel documento di critica alla Manovra 2010, la Conferenza delle Regioni ha messo nero su bianco una proposta per «una completa revisione dell’invalidità civile», giudicata «ineludibile» per la Fish e «inutile» per la Fand. Via invalidità e accompagnamento: le Regioni vorrebbero una sorta di reddito minimo, da revocare all’ingresso della persona disabile nel mondo del lavoro, un sostegno economico per i disabili adulti molto gravi, per favorire la loro vita autonoma, e infine un sostegno economico di assistenza per gli ultrasessantacinquenni totalmente non autosufficienti. A spiegare a Vita la proposta è Lorena Rambaudi, assessore alle Politiche sociali della Liguria, coordinatore dell’area per la Conferenza delle Regioni.
Vita: Disabili da un lato, anziani dall’altro: una novità.
Lorena Rambaudi: C’è bisogno di misure diverse perché diverse sono le condizioni e i bisogni. La cosa importante è che urge introdurre criteri di valutazione diversi per gli anziani non autosufficienti e per i disabili, le tabelle di oggi sembrano quelle degli assicuratori: cambiare le misure è una conseguenza.
Vita: Che margine di azione hanno le Regioni?
Rambaudi: L’invalidità civile è di competenza statale, però le Regioni possono portare esperienze di utilizzo di scale di valutazione diverse, l’Icf per i disabili e la valutazione dell’autonomia per gli anziani, già in uso per i servizi sociosanitari.
Vita: Prevedete dei risparmi?
Rambaudi: Non direi, anzi la platea dei beneficiari si estenderebbe. D’altronde già oggi le persone che ottengono questi benefici sono meno di quelle che ne avrebbero bisogno. E con l’aumento dell’età media si alza anche la fascia di cronicità.
Vita: Un’osservazione ad hoc è dedicata alla scuola?
Rambaudi: Il ddl impone una netta separazione fra le azioni (e i costi) per l’istruzione e quelle per l’assistenza. Noi crediamo che il progetto di integrazione sia necessariamente unico. È pericoloso definire l’integrazione dell’alunno disabile solo come didattica: quando un alunno è così grave da non apprendere, che faremo? Diremo che non ne vale la pena?

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