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Belgio lo troveremo ancora sulla cartina?

di Joshua Massarenti

Dopo l’impressionante exploit dei secessionisti fiamminghi,
il futuro del Paese che ospita le istituzioni comunitarie è appeso a un filo. Ma dal primo luglio proprio a Bruxelles toccherà la presidenza di turno europea. «Stiamo rischiando tantissimo, ma è tutta l’Europa che rischia di scoprirsi ancora più debole». Parla Arnaud Zacharie, segretario generale della piattaforma non governativa Cncd Non bastavano i colpi inferti all’euro, tantomeno gli sbandi vistosi di una leadership europea priva di idee e di coraggio per affrontare la crisi economica più drammatica degli ultimi sessant’anni. Ora l’Europa scopre un nuovo male. Un male che ha preso radici nel luogo più insospettato e che si è manifestato come un cancro in fase conclamata. All’indomani delle elezioni legislative che si sono tenute il 13 giugno scorso, il Belgio – terra di accoglienza delle istituzioni Ue – si è svegliato in evidente stato confusionale. Certo, tutti alla vigilia avevano anticipato il boom dei secessionisti fiamminghi, ma nessuno si sarebbe immaginato che lo sfondamento prendesse le proporzioni di uno tsunami. Con oltre il 28% dei consensi raccolti nelle Fiandre, l’N-VA – Nuova alleanza fiamminga di Bart De Wever ha messo a soqquadro il panorama politico belga. In Vallonia, dove vive una parte minoritaria (40%) di belgi (10,5 milioni), i partiti francofoni sono sotto shock. Increduli all’idea di dover trattare con il peggior nemico per formare un nuovo governo.
A guidare le trattative per i valloni sarà il leader socialista Elio Di Rupo, grande trionfatore in area francofona. A De Weber e Di Rupo spetta il compito di dover superare due ostacoli: la riforma dello Stato federale e la questione Bruxelles-Hal-Vilvoorde, un distretto elettorale nel cuore dell’Europa e che in Belgio fa gola a tutti: ai fiamminghi più radicali che vogliono mettere le mani sul cuore del Paese (regione bilingue, la terza in Belgio assieme a Fiandre e Vallonia) e così avviare la secessione delle Fiandre, e ai francofoni che – oltre a rifiutarsi categoricamente di “abbandonare” la capitale europea dove sono maggioritari – desiderano difendere l’unità nazionale e la loro comunità presente nei 35 comuni fiamminghi dell’area Hal-Vilvoorde. Per le voci moderate sono tempi difficili. Ne sa qualcosa l’ex premier Yves Leterme, costretto a dimettersi tre volte dal suo trionfo elettorale nel 2007. L’ultima il10 aprile scorso, in seguito all’ennesimo scontro politico su Bhv. «Una sciagura», sostiene Arnaud Zacharie. Il segretario generale della piattaforma delle ong belgo-francofone Cncd-11.11.11 è preoccupato: dal primo luglio e per sei mesi, il Belgio assume la presidenza di turno europea. «Se entro l’estate fiamminghi e valloni non trovano un accordo per formare un nuovo governo, l’Europa rischia di ritrovarsi ulteriormente indebolita».
Vita: Ma un accordo in tempi rapidi è fattibile?
Arnaud Zacharie: Non so cosa intende per tempi rapidi. Per noi, significa agosto. Ma tutto dipenderà dal modo con cui De Wever e Di Rupo porteranno avanti le loro discussioni. In ballo c’è la riforma di uno Stato su cui i partiti fiamminghi e quelli francofoni combattono ormai da anni. La sera del suo trionfo elettorale, il leader dell’N-VA ha fatto dichiarazioni di apertura, lasciando intendere che non vuole la fine del Belgio. Staremo a vedere. Ma c’è una cosa che ci salva.
Vita: Quale?
Zacharie: Oggi tutti sono coscienti che una riforma è necessaria, anzi vitale. Altrimenti rischia di saltare davvero tutto.
Vita: Intanto di mezzo c’è anche la questione Bhv?
Zacharie: Guardi, mi lasci dire una cosa. È da mesi che non si fa altro che parlare di crisi. E in Belgio che succede? Cade un governo per colpa di un distretto elettorale che la stragrande maggioranza degli europei non saprebbero nemmeno situare sulla carta geografica. Si sa che siamo nel Paese del surrealismo, ma con la caduta del governo Leterme si è toccato il fondo.
Vita: Con quali conseguenze per il semestre di presidenza europea?
Zacharie: Bisogna mettersi in testa che un Paese alla guida della presidenza ha un ruolo importante nella definizione dell’agenda europea e nel coordinamento dei dossier che saranno discussi nei Consigli dei ministri Ue. Tra questi dossier, ci sono temi caldissimi come la riforma della cooperazione europea, la lotta contro la crisi economica, la riforma del sistema finanziario, la strategia europea “2020”, o ancora la conferenza di Cancun sul clima.
Vita: Tutti dossier che rischiano di essere gestiti da un governo senza poteri?
Zacharie: In assenza di un nuovo esecutivo, Bruxelles dovrà vedersela con il governo attuale, che poi è limitato a gestire i cosiddetti “affari correnti”. I suoi margini di manovra per guidare l’Europa da qui alla fine del 2011 saranno molto limitati. Sarebbe catastrofico.
Vita: Quali sono gli appuntamenti internazionali clou che coincidono con la presidenza belga?
Zacharie: Almeno quattro: il primo è il Summit sugli Obiettivi del Millennio previsto a Palazzo di Vetro in settembre e che dovrebbe indicare nuove strategie da adottare per dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015. C’è poi il Summit di Cancun sull’ambiente tra novembre e dicembre. Di mezzo c’è il Vertice Europa-Asia, infine il Summit Ue-Africa.
Vita: Quali battaglie porterete avanti nel prossimo semestre europeo?
Zacharie: Per quanto riguarda la nostra piattaforma e quella delle ong europee, Concord, l’appuntamento clou è il Summit sugli Obiettivi del Millennio. La nostra campagna si focalizzerà su: aiuti e i finanziamenti allo sviluppo; sovranità alimentare; lavoro decente; cambiamenti climatici.
Vita: Quale impatto potrebbe avere per un’organizzazione come la vostra una presidenza belga debole?
Zacharie: Pesante. Per promuovere la nostra agenda possiamo appoggiarci all’entourage del presidente del Consiglio, Van Rompuy. Poi si vedrà. Ma è un peccato, perché sulle questioni come quelle legate allo sviluppo il Belgio è sempre stato una voce importante. Del resto, siamo l’unico ad aver aumentato i finanziamenti pubblici contro la povertà. Eravamo allo 0,43% del Pil nel 2008, per poi passare a 0,55% nel 2009 e se tutto va bene si supererà lo 0,6% nel 2010. Speriamo che la nostra classe politica prenda davvero coscienza dei rischi a cui andiamo incontro.


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