Non profit

La crisi va a scuola, private bye bye

Le rette - fino a 9mila dollari l'anno - sono sempre più insostenibili. Così molti istituti chiudono. E chi resiste è costretto ad accettare finanziamenti pubblici. Rinunciando all'autonomia

di Pietro Vernizzi

Scuole private Usa travolte da una catena di fallimenti. Uno dei sistemi educativi al mondo più basati sulla libera iniziativa del non profit potrebbe non sopravvivere alla crisi. Colpa della disoccupazione, che sta avendo drastiche conseguenze sui bilanci degli istituti non statali americani. Sempre più numerosi i genitori rimasti senza un lavoro che non riescono a sostenere le rette, che di solito variano tra i 4mila e i 9mila dollari annui per studente. Vedendosi di fatto costretti a scegliere tra la spesa per il cibo e quella per la scuola privata.
Ad andarci di mezzo è stata, tra le altre, la storica Cleveland Hebrew School, che dopo 119 anni di attività nel maggio 2009 ha dovuto chiudere le tre sedi di Beachwood, Solon e Hudson. Mentre in settembre l’American Muslim Academy di Detroit è finita addirittura in bancarotta. E non se la passano meglio anche le numerose scuole protestanti, come la Orcutt Baptist School di Newport News che ha chiuso i battenti licenziando i professori, e la Grace Baptist School di Sumter, che ha dovuto tagliare buona parte dei suoi indirizzi. Con l’onda lunga dei fallimenti che è arrivata fino a Honolulu, nelle isole Hawaii, colpendo la Word of Life Academy, di ispirazione evangelica, e la cattolica Holy Trinity School.
Come riferisce l’Economist, dal 1965 a oggi il 50% delle scuole cattoliche degli Stati Uniti è stato costretto a dare forfait per motivi finanziari, mentre dal 2000 le iscrizioni a quelle rimaste sono calate del 20% e solo nell’anno scolastico 2009/2010 gli istituti che hanno chiuso sono stati 174. A Baltimora saranno presto cancellate 13 delle 64 scuole cattoliche, New York sta per perdere quella più prestigiosa, la St. Patrick’s Old Cathedral School, mentre nel 2008 l’arcidiocesi di Washington DC ha trasformato sette dei suoi istituti in «charter school», ottenendo i finanziamenti pubblici ma precludendosi la possibilità di gestirli come enti religiosi.
Un panorama confermato dai dati ufficiali del National Center for Education Statistics, che arrivano fino all’autunno 2009. Da cui risulta che elementari e secondarie private negli Usa hanno perso in totale 475mila studenti in otto anni, passando dai 6 milioni e 320mila del 2001 ai 5 milioni e 845mila dello scorso settembre. Mentre nello stesso periodo le scuole pubbliche sono cresciute dai 47 milioni e 672mila iscritti ai 49 milioni e 788mila.
Di fronte a una situazione sempre più drammatica, le principali comunità religiose degli Stati Uniti si stanno mobilitando per correre ai ripari. Dopo la chiusura della Hebrew School, per esempio, una petizione online ha convinto la Jewish Federation a stanziare 185mila dollari aggiuntivi per salvare almeno una delle tre sedi. E solo un mese fa si è deciso di trasformare l’istituto in fondazione, con l’obiettivo di proseguire la sua missione nel campo educativo e aprire i corsi anche agli studenti che non fanno parte della sinagoga. Mentre l’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, ha lanciato un progetto pilota in collaborazione con l’Università di Notre Dame. L’obiettivo è incrementare le iscrizioni alle scuole cattoliche all’interno della comunità ispanica, per ora ferme al 3% dei ragazzi. Oltre il 93% delle elementari legate alle parrocchie offre infatti alle famiglie indigenti un aiuto nel pagare le rette, ma per buona parte dei “latinos” questo non è sufficiente. Per venire loro incontro il vescovo Dolan ha quindi deciso di vendere tutti gli edifici inutilizzati dell’arcidiocesi, destinando le risorse ricavate alle scuole cattoliche.


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