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Fratelli d’Italia in campo, maori de noantri sulla pelle

Fra i 23 azzurri di Lippi, solo in quattro non hanno un tatuaggio

di Redazione

Il calcio è solo l’apice di una moda che in Italia vale già 80 milioni di euro. E che mette a rischio la salute: il 32% dei casi denunciati di epatite B dipende dai tattoo Uscire presto dal Mondiale non è un problema, ma guai a passare inosservati. Sembra questo il criterio con cui Lippi ha deciso le convocazioni per la Nazionale di calcio. La metà dei prescelti, infatti, più che per la maglia si sta facendo notare per i disegni sul corpo. Braccia, gambe, schiene decorate, sempre a favore di telecamera. Solo in quattro sono “puliti” (Bocchetti, Buffon, Gilardino e Montolivo).
Se prima la pelle pitturata era simbolo di trasgressione e diversità, come ai tempi di Dennis Rodman, mitica ala dei Chicago Bulls, nel giro di qualche anno è diventata sinonimo di successo. Nella speciale classifica dei super decorati spicca Marco Materazzi, discusso centrale dell’Inter, e, sull’altra sponda del Naviglio, il più glam David Beckam. Senza dimenticare lo scalpore suscitato nel 2008 dalla scelta di Mauro German Camoranesi di farsi tatuare per pubblicizzare il proprio sponsor tecnico. E celebri sono pure il gladiatore di Francesco Totti, il Che Guevara di Fabrizio Miccoli e il Maradona di Ezequiel Lavezzi. C’è anche chi ringrazia Dio, come Marchetti che, dopo essersi salvato da un incidente stradale, si è fatto incidere una preghiera dell’Avesta, il testo sacro della religione zoroastriana. Il fenomeno si sta allargando a macchia d’olio. «Negli ultimi cinque anni c’è stata una vera e propria esplosione», racconta Miki Vialetto, organizzatore della Milan Tattoo Convention, che «in tre giorni raccoglie 240 tra i migliori tatuori al mondo, 9mila curiosi e durante la quale vengono realizzati circa 2mila tatuaggi».
Nonostante la crisi economica, in Italia sono circa 300 le imprese specializzate in tatuaggi e piercing (dati 2009 della Camera di commercio di Monza e Brianza). Se poi si considerano anche le attività in cui sono realizzati in via accessoria, si arriva a circa 900, per un giro d’affari stimato intorno a 80 milioni di euro. Il 93% delle aziende è individuale e nel 50,6% dei casi il titolare è uomo, fra i 30 e i 49 anni. Farsi un tatuaggio costa da un minimo di 40 euro fino anche a 2mila e oltre, dipende dalla complessità del disegno e, ovviamente, anche dalla mano d’artista o meno… Un rapido calcolo ci dice che in media ogni anno nel nostro Paese “nascono” 800mila tatuaggi.
Ogni anno, però, in Italia si ammalano di epatite circa 1.300 persone: mille di epatite B e C e 300 di epatite A (anche se questo è un valore sottostimato, che dovrebbe corrispondere al 5% dei casi: il restante 95% rimane infatti asintomatico, non viene riconosciuto e quindi non denunciato). E un altro piccolo calcolo ci dice che «nel 32,1% dei casi denunciati di epatite B la causa di contagio va ricercata alla voce “tatuaggi, piercing, manicure e pedicure”», avverte Ivan Gardini presidente dell’associazione Pazienti EpaC onlus, «mentre per quanto riguarda l’epatite C il valore scende al 27,8% dei casi». Numeri che non convincono Vialetto: «Questi dati mi suonano molto strani perché l’attenzione dei tatuatori è totale».
Ma al di là dei problemi sanitari, come vive questa esplosione di pelle inchiostrata la “leggenda” del tattoo, vale a dire Gian Maurizio Fercioni, 63 anni, milanese. Le sue opere sono visibili – o nascoste – sui corpi di tanti vip, non ultimi Vieri, Ronaldo e Maldini, tanto per stare nel settore calcio. «Sono della vecchia scuola», precisa subito Fercioni, «per me il tatuaggio è un po’ come un souvenir di viaggio, come un adesivo da attaccare alla valigia… Non comprendo questa moda di tappezzarsi in poco tempo». «Ma attenzione», aggiunge,«i pluritatuati c’erano già ai primi del 900, solo che rimanevano nascosti. Adesso, con la diffusione attraverso i mass media e il calcio, li si vede ovunque, anche con esagerazioni poco comprensibili che… mi fanno stortare il naso. Però, alla fine è lavoro in più, per cui ben venga se uno si vuole ricoprire!».

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