Cultura

Il bel sogno di miss America: «sarò miss servizio civile»

Rima Fakih in corsa anche per il trono di reginetta dell'Universo

di Pietro Vernizzi

Il non profit lo conosce da quando aveva 14 anni, ma ora è scesa in campo a favore della legge sul servizio volontario.
Il futuro? «Nell’associazione Service Nation» È stata la prima donna araba a conquistare lo scettro di Miss Usa. Una vera rivoluzione, al punto che la sua vittoria è stata paragonata dai media statunitensi all’elezione di Barack Obama. Ma Rima Fakih, nata in Libano e residente nel Michigan da quando ha 7 anni, non rappresenta soltanto un’America dove chiunque può realizzare il suo sogno, da qualsiasi razza o cultura provenga. La 24enne, che il 23 agosto a Las Vegas sarà la portabandiera Usa al concorso di Miss Universo, è anche il modello di una nuova generazione di ragazzi statunitensi. Attiva in diverse organizzazioni non profit da quando aveva 14 anni, Rima è scesa in campo per l’approvazione di una legge a favore del servizio civile volontario. Annunciando di volersi specializzare alla Law School per potersi dedicare a tempo pieno alla campagna portata avanti dall’associazione Service Nation.
Vita: Da dove nasce il suo interesse per la legge sul servizio civile?
Rima Fakih: Nasce dal desiderio di restituire al mio Paese, l’America, qualcosa che ho ricevuto. Quando ero una teenager, ho visto un film che si intitola Pay it forward (Un sogno per domani). Il protagonista, un ragazzino, per cambiare il mondo inizia ad aiutare una persona, chiedendole in cambio di «passare il favore» ad altri tre conoscenti. Creando così una catena di solidarietà. L’idea che ciascun cittadino potesse aiutarne un altro, creando una serie di relazioni, mi aveva colpito profondamente. Il motivo per cui tengo così tanto a Service Nation è lo stesso: si tratta di un’associazione creata dalla gente per aiutare altra gente. Chi l’ha creata è stato un cittadino, e chi si dà da fare per gli altri è sempre un cittadino: è questo che mi stupisce.
Vita: Il suo impegno è iniziato da quando è diventata Miss Usa?
Fakih: Noi, dai tempi del liceo. Con un’associazione, chiamata Americorps, individuavamo delle famiglie con gravi difficoltà, senza i soldi per mangiare. Poi bussavamo alla loro porta e chiedevamo loro che cosa desideravano, perché il Natale fosse come lo avevano sempre sognato. A quel punto giravamo la città chiedendo delle offerte, fino a raggiungere la somma necessaria per realizzare il desiderio di quella famiglia.
Vita: C’è stata qualche esperienza che l’ha convinta più di altre della necessità di darsi da fare per gli altri?
Fakih: Quando avevo 14 anni a mia madre è stato trovato un nodulo al seno. Era una cosa così spaventosa… Io avevo molta paura, e quando sono cresciuta diversi miei amici hanno perso le loro madri per colpa del cancro al seno. Fin da quando ero teenager ho iniziato a sentirmi molto coinvolta emotivamente da questa causa, anche perché colpisce così tante donne. Ora che sono Miss Usa posso fare molto per sensibilizzare le persone. Per questo ho deciso di diventare testimonial di diverse associazioni che combattono il cancro, tra cui Pink Fund, che raccoglie fondi per garantire la diagnosi gratuita alle donne delle aree più povere, che non possono pagarsela da sole.
Vita: Dopo la sua vittoria ha dichiarato: «È il segno che in America chiunque può farcela». Che cosa intendeva dire?
Fakih: Io sono riuscita a realizzare tutti i miei sogni, e nessuno ha potuto fermarmi dicendomi che non gli piaceva il mio colore, la mia razza, la mia persona. Gli Usa sono una terra basata sull’accettazione delle diversità e sull’offerta di opportunità per tutti.
Vita: Eppure gli arabo-americani non sempre hanno vita facile…
Fakih: Dopo la mia vittoria un egiziano mi ha detto: «Volevo ringraziarti, sei la prima persona araba che non è apparsa in tv per un fatto negativo».


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