è questo l’appello di Filomena D’Agostino, presidente e fondatrice dell’associazione
che combatte la malattia di Friedreich
di cui soffre suo figlioIl Comitato Rudi onlus sta cercando di portare a termine uno dei progetti più importanti della sua storia: far sbarcare in Europa il farmaco RG2833 per il trattamento dell’Atassia di Friedreich. Come spesso accade, è uno di quegli sforzi che non fanno notizia. Filomena D’Agostino (nella foto), presidente e fondatrice dell’associazione, lo sa ma è molto decisa a fare in modo che il progetto vada in porto. «L’associazione nasce perché mio figlio ha questa malattia», racconta D’Agostino. «Io e mio marito abbiamo iniziato il nostro percorso tanti anni fa con una partecipazione a Telethon. Poi ci siamo resi conto che era necessario occuparsi più attivamente della ricerca scientifica relativa alla patologia e abbiamo creato l’associazione che si chiama Rudi dalle iniziali di mio figlio Diego Ruggeri».
Si tratta di un’anomalia genetica che comporta nel tempo un progressivo danneggiamento del sistema nervoso. L’individuo affetto ha un gene “anomalo” con un numero esuberante di triplette che impediscono l’adeguato “srotolamento” del Dna, procedimento che favorisce la sintesi della fratassina che infatti è deficitaria. In generale la malattia inizia con disturbi dell’equilibrio, difficoltà nella corsa, e nel mantenimento della posizione eretta in luoghi bui o affollati. Il paziente perde progressivamente i riflessi degli arti inferiori, la deambulazione si fa impacciata, iniziano a comparire disturbi della coordinazione che comportano difficoltà ad allacciarsi i bottoni, a scrivere, a parlare (parola scandita) e a deglutire. Nelle forme più acute insorgono anche gravi cardiopatie e il diabete.
«I dati disponibili nella letteratura scientifica indicano che colpisce tutte le popolazioni caucasiche europee e del Nord America con una frequenza di una persona ogni 50mila», sottolinea la presidente, «e il fatto che sia rara determina naturalmente scarso interesse da parte del business farmaceutico». E proprio su questo si è concentrato ogni sforzo del Comitato negli ultimi anni. Un impegno che, come spiega D’Agostino, nasce da lontano: «Nel 2005 abbiamo lanciato la campagna GoFAR (“andare lontano” ma anche “Go Friedreich’s Ataxia Research”) impegnandoci a livello internazionale. In breve tempo siamo diventati un riferimento a livello europeo per la ricerca scientifica e molto noti a livello mondiale. Abbiamo lavorato in accordo con l’associazione americana Fara – Friedreich’s Ataxia Research Alliance e le altre europee. In particolare abbiamo indirizzato i fondi verso la ricerca di un approccio terapeutico specifico per la malattia di tipo farmacologico». Ciò ha fatto sì che la casa farmaceutica Repligen Corp. di Boston nel 2007 si sia interessata e abbia comprato il brevetto per sviluppare la classe di molecole appartenente alla famiglia degli inibitori delle istoni deacetilasi (HDACi) e farle diventare farmaco. «Con degli sforzi che sono partiti principalmente da noi, il farmaco ha già completato lo sviluppo pre-clinico», continua la presidente, «quando parlo di sforzi intendo dire che abbiamo finanziato tutto il lavoro del team di ricercatori che ha affiancato la casa farmaceutica. Il che vuol dire cofinanziamenti molto mirati per il progresso delle ricerche e contributi alla casa madre, anche se limitati, per lo sviluppo dei marcatori genetici (utili a verificare che il farmaco giunga a bersaglio riattivando il gene)». «La cosa fondamentale che abbiamo fatto, però,», spiega la presidente, «è stato fornire alla casa farmaceutica tutti i campioni di sangue necessari per completare la fase di sviluppo pre-clinico. Un contributo molto prezioso».
A questo punto servono investimenti importanti per avviare gli studi clinici sul farmaco ed è qui che iniziano le dolenti note. L’iter necessario per far sbarcare il farmaco sul mercato e renderlo disponibile a tutti ha una partenza molto sofferta. Essendo un prodotto nuovo e di nicchia, dato l’esiguo numero di pazienti, la Repligen è molto cauta nel compiere investimenti. «Sono sei mesi che portiamo avanti una trattativa impegnativa e serrata con la casa farmaceutica», racconta D’Agostino. «Il nostro obiettivo è attivare nel minor tempo possibile studi clinici in Europa e in particolare in Italia». Il grosso scoglio, naturalmente, sono i costi elevati dell’operazione. Si tratta di due fasi distinte. Lo Studio di Fase 1, che è fatto su soggetti sani e poi sui pazienti per verificare la tollerabilità del farmaco: costa intorno ai 2 milioni di dollari. Subito dopo c’è la Fase 2, che si occupa invece dell’efficacia e ha circa gli stessi costi. L’RG2833 è stato classificato quale farmaco orfano dalla Fda – Food and Drug Administration. Grazie a questa certificazione, Repligen potrà ottenere anche dei vantaggi fiscali e una maggiore tutela di mercato nell’ipotesi di commercializzazione del farmaco. È attesa a breve la stessa classificazione anche dall’ Emea – European Medicine Agency.
«Proprio questo è il nostro unico impegno nel 2010», sottolinea la presidente. «La trattativa che stiamo conducendo serve ad accelerare da un lato i tempi di realizzazione dei primi studi clinici sui pazienti, dall’altro a fare in modo che essi vengano svolti anche in Italia. Questo è l’impegno fondamentale assunto dal Comitato Rudi che a tal proposito si adopererà per incrementare i fondi già a disposizione, derivanti dall’instancabile impegno dei nostri collaboratori per far diventare realtà questo obiettivo».
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