Non profit
Ma questo è un paese surreale
Il nostro corrispondente da due anni e mezzo vive a Bruxelles
di Redazione
La crisi fra valloni e fiamminghi? Solo sui giornali. Certo è che i belgi sono proprio sfortunati…da Bruxelles
E così il Belgio sarebbe in crisi. Una crisi irreversibile che, secondo la stampa belga, porterà fiamminghi e valloni dritti all’inferno. Classe politica o cittadini, non fa differenza. Sono tutti sospettati di odiare l’altro.
Odio? Ma quale odio? L’odio è pestare allo stadio il tuo peggior nemico in nome di una presunta supremazia razziale fiamminga o vallone; organizzare un Aventino in Parlamento; far scoppiare bombe ad Anversa o Liegi per alimentare la strategia della tensione; mandare in strada la gente a manifestare contro l’Altro e fare in modo che tutto si concluda con un bella guerriglia urbana.
Vivo in Belgio da due anni e mezzo. Trenta mesi durante i quali l’atto più violento che abbia visto si riassume in un pugno di parlamentari fiamminghi che cantano l’inno delle Fiandre mandando in bestia i colleghi francofoni. Tutto qua? Tutto qua.
E allora diciamocelo: il Belgio è un Paese di sventurati. Uniti da sbalzi di tempo e di temperatura che non auguro a nessuno, da un ex primo ministro che confonde il suo inno nazionale con la Marsigliese, da un Mare del Nord (soprannominato “Mare d’acciaio”) che più orribile non si può, da un prodotto come la patatina che i belgi spacciano per brand, da un campionato di serie A sponsorizzato da una birra e, manco a dirlo, tra i più brutti d’Europa (nel 2009 ho assistito a una partita tra il Courtrai e l’Anderlecht, in confronto nella serie C italiana tira aria da Champions League).
Diciamocela tutta: che Paese è il Belgio se l’unico leader politico di spicco che ha saputo offrire all’Europa in questi tempi di vacche magre è un uomo – nella fattispecie Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo – appassionato di haiku e di ornitologia? Con tutto rispetto per la poesia giapponese e gli uccellini, c’è soltanto voglia di andare a piangere sulle tombe di Jacques Brel, Hergé e Georges Simenon. Per non parlare di quelle in cui si staranno ribaltando i vari De Gasperi, Adenauer, De Gaulle o Mitterrand, quelli sì avevano una visione dell’Europa, giusta o sbagliata non importa.
Oggi i nostri protagonisti si chiamano De Wever e Di Rupo. Due illustri sconosciuti diventati protagonisti di una farsa politica che poteva giocarsi soltanto in Belgio. Un Paese surreale che alla vigilia del turno di presidenza UE vede la propria classe politica nutrire preoccupazioni quanto meno strane: non la crisi epocale che si sta abbattendo sull’Europa, ma il destino di tre entità territoriali – Bruxelles, Fiandre e Vallonia – che, ad eccezione della capitale europea, incarnano il nulla su scala internazionale.
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