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La tristezza dell’Egitto. Essere i più forti ma far da spettatori

L'unico angolo dell'Africa che non riuscirà a festeggiare

di Martino Pillitteri

Hanno vinto le ultime tre coppe continentali.
Ma hanno clamorosamente mancato la qualificazione
ai primi Mondiali africani. Una disfatta che brucia. Come racconta lo scrittore Khaled Al Khamissi
Negozi chiusi; ristoranti pieni ma solo al tramonto; negli uffici, le segretarie posticipano gli appuntamenti a metà luglio; rinviate anche le celebrazioni dei matrimoni negli hotel che la Cairo dei ricchi celebra nelle hall dello Sheraton e del Four Season davanti al Nilo; scuole ed università cercano di non far coincidere le sessioni degli esami con le prossime quattro settimane, e i cinema evitano di proiettare blockbuster estivi.
Non è Il Cairo durante il Ramadan, che quest’anno si celebra in agosto. È una fotografia dell’Egitto durante il mese profano dei Mondiali. L’unico evento, oltre il digiuno nel mese sacro, in grado di cambiare la prassi della vita quotidiana per milioni di persone. Se per molti egiziani l’agenda della giornata è regolata dal richiamo alla preghiera dei muezzin, dal 12 giugno in poi saranno i fischi di inizio delle partite da parte degli arbitri a risuonare e mettere ordine nell’agenda mentale degli egiziani.
La squadra del Paese più importante ed orgoglioso del mondo arabo e campione della Coppa d’Africa non partecipa ai Mondiali. A distanza di mesi, secondo i giornali filo governativi, gli egiziani non hanno ancora digerito l’eliminazione da parte dell’Algeria (con un pre e dopo partita marcato da lanci di pietre al pullman dei giocatori algerini, e pestaggi dei tifosi di entrambe le squadre) avvenuta lo scorso novembre. Gli egiziani, dopo tutto, riversano sulla nazionale le loro aspirazioni, frustrazioni, vizi e virtù. Quando la nazionale vince una partita sul campo, è come se gli egiziani vincessero le loro sfide personali in altri settori. Ma soprattutto, come ha detto a Vita uno dei più famosi blogger nella terra dei faraoni, Sandmonkey, «nelle partite giocate sul campo si possono notare alcune estensioni delle partite che giornalmente la gente comune gioca nel proprio micro mondo. Un partita senza un arbitro imparziale. Quello che detta i tempi e le prassi di comportamento è il caos generalizzato in tutti i campi e settori. Il governo è un po’ come la Fifa: emana direttive ma nella pratica non riesce a farle rispettare. I guardalinee invece sono i fanatici religiosi, di tutte le fedi. Sono talmente attenti ai dettagli che alzano sempre la bandierina per segnalare che la gente, soprattutto i giovani, sono finiti in fuori gioco morale magari perché si scambiano un bacio in pubblico». E gli allenatori?  Secondo Sandmonkey, nel contesto egiziano non esistono: «Giochiamo senza allenatori che ci preparano a vincere correttamente. Ognuno qui va avanti per la sua strada, con le proprie regole personali, cercando di vincere la sua partita privata, che per la maggioranza delle persone è legata alla sopravvivenza quotidiana».
Lo sport in un mese disfa quello che l’identità araba ha costruito in secoli. Quando l’Egitto è stato eliminato dall’Algeria, il dopo partita è stato dominato da minacce reciproche tra Il Cairo ed Algeri di ritiro degli ambasciatori; nei giorni dopo la partita, gli egiziani residenti in Algeria hanno avuto vita durissima. Dopo tutto, il tifo calcistico tra arabi non rispecchia i rapporti di forza politici. Mentre Il Cairo è sede della Lega Araba e gioca le mosse principali sullo scacchiere geopolitico a nome degli altri Stati membri, a livello sportivo è un Paese isolato. Dopo l’eliminazione da parte dell’Algeria, si è scoperto che la maggioranza degli arabi gufava contro i faraoni. Nei talk show e nelle news da Casablanca e Dubai, gli egiziani sono stati ridicolizzati e presi di mira da comici e analisti per settimane.
«Ma l’esaltazione generalizzata per l’inizio della Coppa del Mondo in un Paese africano», ha detto a Vita lo scrittore egiziano Khaled Al Khamissi (che nel suo libro Taxi racconta l’Egitto attraverso la ricostruzione delle conversazioni avute con 58 tassisti che lo hanno scorrazzato in giro per Il Cairo), «ha già attenuato gli attriti con gli algerini. Agli egiziani piace molto il Brasile, poi la Spagna. Ma in tanti, sono certo, tiferanno l’Algeria. Vi dirò di più. Gli egiziani delle classi sociali meno abbienti tiferanno Spagna. Gli egiziani che vivono nel benessere invece tiferanno Algeria. Il tifo ha una sua valenza e connotazione culturale, sociale e patriottica. Pure io tiferò l’Algeria. Il tifo, poi, qui non mente. Gli egiziani non sanno trattenersi e non sanno mascherare le loro emozioni quando guardano le partite. Siamo tifosi caldi, mediterranei. Anzi, siamo come i tifosi del Napoli. Una volta vidi una partita di calcio in un ristorante a Napoli e mi sembrava di essere in Egitto. Non parliamo poi delle parolacce. Durante la partita, si possono sentire tutte le parole più haram (vietate/peccaminose, ndr) possibili».


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