Non profit
Affido, Italia condannata per una separazione forzata
Un'importante sentenza della Corte europea di Strasburgo
Una famiglia che si è vista negare l’adozione della figlia che aveva curato dalla nascita ai due anni dovrà essere risarcita dallo Stato. «Il legame affettivo
è un diritto inviolabile»
Un mese fa, per la prima volta, Brunella Moretti è riuscita ad appendere al muro di casa la foto di Monica (il nome è di fantasia). Una faccina rotonda sorridente. È un ricordo congelato nel tempo: Brunella non sa più che faccia abbia, quella piccola che ha tenuto fra le braccia da neonata e ha cresciuto fino quasi ai due anni. Una mattina di dicembre del 2005, infatti, la piccola è stata prelevata dai servizi sociali e poi consegnata, con la scorta della polizia, a una coppia adottiva. Non ce ne sarebbe stato bisogno, per la verità: Brunella e suo marito Luigi sono due persone mitissime e stavano assecondando, con grande dolore, l’adozione a un’altra famiglia. Avevano solo chiesto ai giudici di dare più tempo alla bambina, che aveva incontrato i nuovi genitori soltanto per tre ore prima di quella “consegna” definitiva.
I Moretti gestiscono una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, hanno una lunga esperienza di affidi e due figli propri (uno, adottato, con sindrome di Down). Anche per la bimba, dopo il decreto di adottabilità, su suggerimento degli stessi servizi, avevano fatto due volte richiesta di adozione nominativa. Poi, però, il meccanismo della giustizia si è inceppato e ha triturato tutto: lo staff dei servizi è cambiato, il giudice tutelare del Tribunale dei minorenni di Venezia ha inspiegabilmente negato il consenso all’adozione.
Supportati da don Oreste Benzi, i Moretti non si sono mai arresi: hanno fatto un ricorso alla Corte d’Appello e l’hanno vinto. Ma erano passati già anni e i giudici, pur riconoscendo l’errore, hanno stabilito di mantenere lo status quo e lasciare la bambina con la sua seconda famiglia. L’avvocato Lucrezia Mollica ha predisposto allora un ricorso alla Corte europea di Strasburgo. Il 27 aprile scorso, la Corte ha dato ragione ai Moretti e ha condannato lo Stato italiano a risarcirli della somma di 15mila euro tra danni morali e spese legali. «La Corte ha riconosciuto l’importanza del legame d’affetto che si è creato, di fatto, tra la bambina e gli affidatari», spiega Mollica. «Ha poi stabilito che, separando questa famiglia, la giustizia italiana ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo, che stabilisce la non ingerenza nella vita familiare». Una sentenza paradigma, che crea un importante precedente per tutti i casi di bambini che, rimasti a lungo presso una famiglia affidataria e poi dichiarati adottabili, hanno il diritto di conservare i legami affettivi. «Quando l’hanno portata via, la mia bambina aveva solo i vestitini che aveva addosso e il suo cane di pezza», commenta Brunella. «Mi sforzo di pensare che dovevamo affrontare questa indicibile sofferenza per aiutare altri bambini a non patire più traumi di questa entità».
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