I150 anni dell’Unità d’Italia che si avvicinano, l’imminente festa della Repubblica del 2 giugno. Ma che Paese è oggi l’Italia? Se possiamo ragionare senza far ricorso alla consueta retorica, dobbiamo riconoscere che è difficile parlare dell’Italia al singolare. La crisi invece che limare le differenze tra Nord e Sud le sta esasperando. I numeri sono impietosi e drammatici: da quelli della crescita delle microusura, documentata dalla ricerca di Eurispes resa nota a metà maggio, ai conti della sanità (Lazio e Sud accumulano l’80% del deficit totale), ai numeri della disoccupazione sia giovanile che femminile: secondo i dati di Confartigianato in sei regioni il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni è risultato superiore al 30%: in Sardegna è al 44,7%, in Sicilia al 38,5%, in Basilicata al 38,3%, in Campania al 38,1%, in Puglia al 32,6%, in Calabria al 31,8%. Quella femminile nel complesso delle regioni del Sud supera il 40% (con il record negativo della Basilicata, al 50%). Verrebbe da dire che più ci si riempie la bocca del valore dell’Unità d’Italia e meno ci si accorge di quanto nei fatti, nei numeri, nelle opportunità questa unità non esista. Oggi in Italia ci sono una grande regione, la Lombardia, che ha un Pil pro capite di 34mila euro l’anno e un’altra grande regione, la Campania, che è a meno della metà (16.867 euro). Una differenza che poi trova effetti moltiplicatori a causa dei contesti concreti: il disastro infrastrutturale del Sud è una zavorra che brucia risorse e azzera potenzialità. Dal 10 marzo scorso una città di 320mila abitanti come Bari è isolata dalla capitale: linea ferroviaria interrotta, strada statale 90 parzialmente inagibile, voli aerei (c’è solo Alitalia) con prezzi alle stelle. Così chi si muove lo fa spesso per non tornare. Il Rapporto sull’economia del Mezzogiorno presentato dallo Svimez il mese scorso stima che tra 1997 e 2008 siano stati ben 700mila i cittadini italiani che hanno dovuto lasciare il Sud per trovare un lavoro al Nord. Solo nel 2008 il Sud ha perso oltre 122mila residenti a favore del Centro-Nord. E nel numero non è contemplato il “pendolarismo a lungo raggio”: persone che restano residenti al Sud ma in realtà lavorano al Nord (nel 2007, secondo il Rapporto sulla mobilità del lavoro di Bankitalia, erano 170mila). Un flusso migratorio che ha poco da invidiare a quello degli anni 50 e 60 ma che a differenza di quello avviene nel silenzio più totale. Quella era una emigrazione che aveva una sua rabbia e una sua epica, questa è una emigrazione che sembra dominata da un fatalismo senza sbocchi. È stato calcolato che il fenomeno dell’emigrazione Sud-Nord costi ogni anno alle regioni meridionali circa 13,2 miliardi. Un giovane meridionale infatti beneficia del sistema sanitario e di istruzione della propria regione d’origine e, una volta diventato soggetto produttivo, si trova a versare le tasse al Nord. Un vero e proprio paradosso che caccia il Mezzogiorno in un vicolo cieco. E il federalismo incombe…
Per questo la retorica dell’Unità d’Italia sembra così fuori luogo. Per fare l’Unità non bastano i buoni sentimenti e la simpatia. Forse è meglio guardare in faccia la durezza della realtà e riconoscere che l’unità, quella vera, è tutta da fare.
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